Poi a un certo punto, in occasione di un compleanno importante, sua figlia le regalò una piccola macchina fotografica digitale, così si lasciò prendere da quella mania di fotografare che finora non l’aveva mai contaminata. E pensare che quando aveva ricevuto il regalo aveva sì capito che era un dono importante, che chissà sua figlia quanto ci aveva speso e quanto aveva studiato per trovare una cosa che non aveva e potesse farle piacere, ma non l’aveva entusiasmata più di tanto, un po’ perché la fotografia era fuori dai suoi interessi un po’ perché pensava che c’era da studiare le istruzioni, come mettere a fuoco, come caricare la batteria, come inquadrare…di giorno o di notte, lo zoom, immagine intera o parziale, scegliere le foto da tenere e quelle da scartare, passarle ad un PC… ci sarebbe stato tanto da leggere e applicarsi. Si fece dire le cose essenziali, era da sempre stata allergica alle istruzioni, per questo nella vita ogni tanto le capitava di venire a conoscenza di quelli a lei sembravano segreti e che invece tutti conoscevano, tutti quelli che avevano letto le istruzioni.
Insomma iniziò a fotografare, ma certo non era poi una cosa tanto agevole, perché insieme alla macchinetta dovevi tenere la sua morbida custodia che era attaccata attraverso un foro al cordoncino che reggeva la macchina fotografica, così o la rimettevi via dopo ogni foto che non sai con che ritmo si sarebbero ripetute, o te la tenevi attaccata in modo abbastanza precario, insomma entrambe le situazioni erano abbastanza scomode.
Comunque fotografava. E si perdeva quel gusto di usare gli occhi come macchina fotografica e la memoria come archivio.
Poi un giorno, era sul ponte di Brooklin, incantata da quell’intrigo di corde che lo sostengono e lo hanno reso famoso, pum, la macchina all’improvviso non scattò più e lei restò con un palmo di naso.
Impossibile documentare il resto del viaggio.
Tornata a casa dopo un po’ riuscì a farla riparare, dovette ricapire come funzionava perché nel frattempo se l’era dimenticato, e iniziò di nuovo a fotografare, ma ancora con parsimonia, per le solite ragioni.
Nel frattempo uscirono i telefonini che fotografavano, e fu una svolta.
All’inizio continuò con la macchina e qualcosa col cellulare, poi capitolò e cedette a quest’ultimo perché era molto più facile, cadde ogni remora, iniziò a scattare senza vergogna; lei che aveva sempre deriso quelle frotte di turisti che non guardavano quello che vedevano se non per immortalarlo in foto, quelli che sgomitavano per arrivare prima al quadro o allo scorcio da riprendere, che ti urtavano mentre ti passavano avanti e ti si mettevano davanti per godere dell’inquadratura migliore, che vedevano solo attraverso l’obiettivo ed erano ciechi per il resto, certe volte scattavano così veloci, in batteria, senza inquadrare a rischio di perdere il minimo particolare, mentre camminavano come automi appresso alla guida.
Una volta, in viaggio con una coppia di amici, questi non facevano che fotografare e fotografare, e lei pensava “Ma sono marito e moglie, alla fine del viaggio avranno le stesse foto, duplicate; sembrava avessero ingaggiato una gara a chi le faceva di più o forse meglio, anche fastidioso a vedersi, che senso ha? Le confronteranno una volta tornati a casa come le figurine? Dubito”
Ora anche lei stava diventando di quelli.
Ossessiva.
Maniacale.
Rendendosi conto che per fotografare, decidendo di farlo simultaneamente nell’istante in cui era attratta da una cosa meritevole di essere ricordata, apprezzata, perdeva il senso di quella cosa.
I suoi occhi, non si spalancavano più a catturare la particolarità di un luogo, la suggestione di uno scorcio, la bellezza di uno sguardo, i mille colori del mare o del cielo, la luminosità della luna; i profumi e gli odori che accompagnano una visione non ci sono nelle foto e si perdono per sempre se i nostri occhi sono solo concentrati a inquadrare ciò che vediamo in un rettangolino. Se una cosa bella non la respiri non puoi farla tua, non la trattieni, non puoi goderne appieno.
E poi, tutte queste foto, fatte anche in serie perché dopo scegli quelle venute meglio, e poi non sai sceglierle, e poi intasano la memoria del telefonino, e poi le vuoi scaricare sul computer ma ci vuole troppo, e poi non sai come succeda ma alcune le memorizzi doppie e altre te le perdi…
Meglio quando con gli occhi catturava l’immagine e se ne riempiva lo sguardo e poi la respirava e nella sua mente restava per sempre e un giorno poi magari un profumo o un colore o un suono gliela avrebbe fatta rivivere.
L’autrice
Maria Teresa Muratore, viterbese, figlia d’arte, biologa di formazione e professione, ha sempre mantenuto viva la passione per la scrittura. Ha pubblicato tre sillogi poetiche: Scartini d’amore (Alter Ego Edizioni, 2013), In terza persona (Augh!Edizioni, 2017), Io, gli altri, la vita, la morte (Transeuropa Edizioni, 2022). Due raccolte di raccontini: Astrazioni dal quotidiano; Alter Ego Edizioni, 2015-Pensieri Vaganti; Dialoghi edizioni, 2020. Ha aperto una pagina Facebook e Instagram “Le parole di Maria Teresa” dove legge passi dei suoi libri. Dal 2019 collabora con la testata online TusciaUp. Un lungo racconto delle cose ritrovate e perse (NOLICA Edizioni, 2021) è il suo primo romanzo breve. Sono seguiti: Io,gli altri, la vita, la morte nel gennaio 2022 e nell’aprile 2024 Storie di torte e lockdown.