Un’esistenza preziosa da quasi un secolo, un presente difficile, un futuro offuscato da una coltre di nuvole. Ecco la Camera di Commercio di Rieti Viterbo anno domini 2025. Viterbo accorpata a Rieti dal 27 luglio del 2021, anche se i primi segnali di riassetto risalgono all’inizio del 2018. Il segretario generale, Francesco Monzillo, traccia un bilancio che non è esattamente positivo: meno entrate, maggiori spese, tagli orizzontali, per una realtà che alla fine dell’anno appena chiuso presentava questo quadro: imprese registrate 51.358 (36.784 nella provincia di Viterbo, 14.547 in quella di Rieti), nuove iscrizioni rispettivamente 364 e 325, cessazioni 608 e 364.
Dopo tre anni e mezzo come sta andando il matrimonio?
“Complicato assai. A livello operativo ci hanno tolto risorse e provato a toglierci anche attività importanti come il registro imprese, la regolazione del mercato, aspetti sanzionatori, proprietà industriali, marchi, brevetti, promozione, digitalizzazione, orientamento, studi, analisi ambientali”.
Una complicazione anche a livello territoriale?
“Viterbo e Rieti sono due realtà profondamente diverse con interlocutori diversi. Cose che prima facevamo una volta, oggi dobbiamo farle in due volte con persone e istituzioni distinte tra loro”.
E’ stato un matrimonio sbagliato?
“Totalmente sbagliato. La Camera di Commercio era nata perché rappresentava e rappresenta una provincia unica anche dal punto di vista istituzionale. Abbiamo una amministrazione per Viterbo e una per Rieti, abbiamo nel viterbese 60 Comuni, alcuni dei quali molto importanti con i quali dialoghiamo e 73 Comuni nella provincia di Rieti. In definitiva dovremmo avere un contatto proficuo e continuo con 133 Comuni, contatto evidentemente a volte difficile se solo si pensa che il più piccolo municipio del reatino conta 63 abitanti”.
Come si esce da questa situazione oggettivamente complessa?
“Non se ne esce. Indietro non si torna, lo dimostra il fatto che l’ultimo accorpamento lo hanno fatto tra Mantova, Cremona e Pavia appena qualche settimana fa”.
Che spiegazione si è dato?
“Diciamo così, che c’è stata una stagione politica in cui si volevano togliere di mezzo le Camere di Commercio. Non ci sono riusciti anche se la Camera di Commercio è la più virtuosa tra tutte le amministrazioni”.
Perché questo accanimento?
“Bisognerebbe chiederlo a chi lo ha voluto. Ci sono diverse teorie. Forse perché le Camere in moltissimi casi sono state indipendenti dalla politica, il che non ha giovato. Qui le scelte le hanno fatte sempre le associazioni di categoria. Insomma, hanno provato a toglierci di mezzo perché non controllate e controllabili, ma non ci sono riusciti. In compenso ci hanno dimezzato il bilancio. L’unica imposta che hanno ridotto negli ultimi cento anni è stato il diritto annuale delle Camere. L’impresa individuale nel 2014 pagava 88 euro, oggi 53, cioè si è ritrovata 35 euro in meno da pagare. Invece il taglio, applicato su 45.000 nostre imprese e 13.000 del Reatino, ha significato un dimezzamento del bilancio. Che vuol dire, quattro milioni in meno all’anno. Un mancato introito che si è riverberato in parte sulla struttura e che abbiamo cercato di recuperare facendo maggiore efficienza. Ma siamo stati costretti ad abbandonare tante attività come i contributi per le imprese che andavano all’estero, per le certificazioni di qualità, per le start-up, per gli eventi. E poi gli inevitabili tagli del personale”.
Cioè?
“Nel 2014 a Viterbo avevamo circa 60 persone, a Rieti 25. Ora siamo in tutto 46”.
La digitalizzazione ha aiutato a limitare i danni?
“Sicuramente. Ma nel 2011 noi già avevamo digitalizzato tutti i processi di atti amministrativi. In questo senso, ad essere sincero, ci ha aiutato di più il Covid che l’accorpamento”.
E’ più amareggiato o preoccupato?
“Molto amareggiati, ci metto anche i colleghi di Rieti”.
C’è il rischio di una ulteriore stretta?
“Non credo, c’è una totale inversione di tendenza anche perché con la riforma ci hanno imposto dei paletti, per esempio, quella di andare all’estero se non con l’accordo dell’Ice e altri istituti. Sì, ci hanno tolto il passaporto”.
Un bel supporto per le eccellenze della Tuscia come la ceramica e l’agricoltura, non c’è che dire….
“Vuol dire che ci penseranno altri. In realtà, lo fanno direttamente le imprese”.
Come vanno questi due settori?
“Vanno, a fronte di uno sviluppo che negli ultimi anni è stato enorme. Le ceramiche di Civita Castellana hanno fatto scuola in materia di designer e innovazione in tutto il mondo”.
Parliamo di anagrafe. Come si è chiuso il ’24?
“Negli ultimi anni abbiamo registrato sempre saldi positivi. Anche se qualche settore, come quello del commercio, continua a riportare il segno meno mentre quello dei servizi presenta quello positivo. L’agricoltura è variabile, ma dipende dai processi di assestamento delle imprese”.
Previsioni sul 2025?
“Farne è sempre un po’ complicato. Il quadro internazionale qualche problema lo pone, più preoccupante è la perdita del potere di acquisto con i redditi reali che negli ultimi cinque anni hanno subito ricadute negative. Il turismo non ha dato segni di cedimento però se i redditi si riducono c’è il rischio che il comparto si indebolisca”.
La vostra “creatura” Assaggi come cresce?
“Cresce. Edizione zero a settembre del 2022, a regime nel maggio ’23, terza edizione maggio ’24. Stiamo preparando l’edizione maggio ’25. L’agroalimentare è diventata una filiera per Viterbo che ci viene riconosciuta ovunque. Dove arriviamo, lasciamo il segno. Puntiamo a fare di Viterbo il capoluogo regionale dell’Agroalimentare”.