L’Orsacchiotto da “I cunti della notte” di Catena Fiorello Galeano

di Catena Fiorello Galeano

orsacchiotto
Questo è un cunto della notte.
Sono storie brevi, mai autobiografiche, che scrivo per voi che mi seguite su questa Pagina, e liberi di condividerli sulle vostre bacheche. Spero vi facciano compagnia in questa calda estate.
 
Era rimasto in un cassetto, dimenticato chissà da quanto. L’ho sempre portato con me durante i vari traslochi senza rendermi conto di quanto ci tenessi a quest’orsacchiotto di peluche colore del cielo. L’azzurro è una tonalità che mi mette allegria, l’ho sempre amato. Azzurri sono anche i miei occhi che hanno pianto tanto e poi a un certo punto hanno smesso di farlo, per difesa e perché ho imparato a resistere. Ma se ripenso al giorno in cui mi fu regalato “Orsazzurro” non posso evitare di piangere ancora, anche se si tratta di lacrime più consapevoli e più serene. Si piange in tanti modi, a volte di dolore, altre per rabbia, qualche volta per una grande felicità. Allora accadde per disperazione. Avevo sedici anni e mi ero innamorata per la prima volta. Un amore sincero, puro, in stato di grazia, mi viene da dire adesso. Lui si chiamava Giacomo e frequentava la mia stessa scuola in una classe superiore. Ci speravano due anni esatti, e infatti era alle porte del diploma. E invece a quella meta non arrivò mai perché una mattina fece un volo tremendo saltando dalla sella del motorino investito da un’auto. Stava per arrivare a scuola, mancavano pochi metri. La notizia ci arrivò mezz’ora dopo. Nei corridoi dell’istituto sentii urla, confusione, poi la porta della nostra aula che si apriva e qualcuno proferiva quel nome, in un modo che non preannunciava niente di buono. Fra i pianti sincopati della bidella e di alcuni ragazzi che le stavano accanto, ebbi modo di alzarmi con uno scatto e poi non ricordo altro. La mia compagna di banco giorni dopo mi riferì che svenni subito dopo e che era stato il Preside a prendersi cura di me chiamando un’ambulanza. Non ho voluto vederlo dentro una bara, non ero preparata a quello scempio emotivo, ma durante il funerale mi sorprese la disperazione assoluta. Piansi per mesi, piansi senza riuscire a fermarmi. Nemmeno i miei genitori erano capaci di calmarmi. Avvertivo una rabbia terribile. Perché era accaduto proprio a lui, un ragazzo così buono e sensibile? E come avrei fatto io ad andare avanti? A quell’età tutto è per sempre, anche il dolore. Non riuscivo a immaginare il futuro senza di lui e non vedevo possibilità di ripresa. Ma la vita è bella anche per questo, e non è questione di cancellare chi abbiamo amato, o di inadeguatezza all’amore eterno. La vita ci chiede conto dei nostri giorni, e pretende che la si rispetti anche se dentro il cuore è a pezzi. Piano piano, lentamente, quei pezzi saremo noi a ripararli, con l’esperienza, la saggezza, l’umanità che saprà compatire anche le debolezze. Giacomo negli anni seguenti divenne il mio angelo. Con la sua foto parlavo, mi arrabbiavo, sorridevo. Davanti al suo sguardo dolce chiedevo consigli, e gli confidavo persino i miei segreti più inconfessabili. E mi mancava. Per quell’assenza non avevo soluzioni. Fu un prete, don Patrizio, a convertirmi alla speranza. Mi disse che se avessi voluto, Giacomo sarebbe rimasto con me per sempre, bastava cercarlo sintonizzandomi con la sua anima. Combattei a lungo per abituarmi a quella verità che non potevo provare, ma sotto sotto sospettavo da tempo che ci fosse qualcos’altro oltre la fisicità, e con il tempo ho avuto modo di capire che lui è “davvero” dentro di me perché sono io ad averlo accolto nei miei pensieri. Giacomo è anche in quell’orsacchiotto che mi donò il giorno prima di andare via. A volte me ne dimentico, anche per mesi, com’è accaduto adesso. Ma guarda caso “Orsazzurro” non mi ha mai abbandonata, nemmeno durante i miei numerosi traslochi, durante i quali ho smarrito di tutto, anche oggetti costosi. Sarà un caso? No. È la sua “presenza” a essere più forte di tutto. Gli sarò grata in eterno per questa fedele costanza. E ancora il nostro breve vissuto mi insegna.
 
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