Viterbo nel 1251, multe di 2 soldi per chi deponesse la spazzatura lungo e strade

di Luciano Costantini

La vita quotidiana nel Medioevo era regolata dal nascere e dal calare del sole. Le campane avevano un compito ben preciso, quello di aprire e chiudere le attività giornaliere. A Viterbo, con il sopraggiungere delle tenebre, erano i rintocchi della chiesa di Sant’Angelo a ricordare alla popolazione tutta che era arrivata l’ora di rientrare a casa e ai gendarmi municipali di serrare le porte della città. Una serie di scampanii che riempivano l’aria a distanza di poco tempo l’uno dall’altro. Con i primi venivano sospesi cene, giochi, libagioni e gli avventori erano invitati ad uscire dalle taverne e dai luoghi di ritrovo più o meno raccomandabili; con i secondi scattava la chiusura per tutti gli esercizi pubblici; con gli ultimi rintocchi tutti a casa. Chiunque fosse stato trovato in strada senza giustificazione e “senza un lume”, poteva finire in prigione per restarvi fino al pagamento di una ammenda di 20 soldi. Particolare attenzione, l’amministrazione pubblica riservava alla pulizia cittadina. Lo Statuto del 1251 prevedeva multe di 2 soldi per chi deponesse la spazzatura lungo le vie e le strade. Multa che saliva sino a 10 soldi per chi gettasse rifiuti anche fuori dalle mura vicino alla porta di San Sisto che evidentemente si era trasformata con il tempo in una sorta di discarica a cielo aperto. Ammende ancora più pesanti per chi imbrattasse le abitazioni dei vicini. Vietato rovesciare “lordure” varie dai balconi e dalle finestre. A quei tempi, dall’alto non cadeva soltanto pioggia. Tutte regole che si facevano ancora più stringenti nei pressi del monastero di Santa Rosa, che doveva mantenere un candore pari a quello della “pulzella”. Di più, per non turbare la tranquillità delle monache, era proibito a chiunque di alzare troppo la voce o pronunciare frasi indecenti in quella contrada dove era stato costruito (e poi demolito) il palazzo di Federico II. Lo Svevo, inutile ricordarlo, incuteva paura anche da morto. Comunque una serie di amnistie, concesse tra gli anni 1247-1251, permise a molti religiosi e laici di evitare guai perché accusati di collaborazionismo con l’imperatore. Al fine di valorizzare al meglio quello che oggi si chiamerebbe “arredo urbano” erano state varate anche regole precise per l’edilizia privata. Vietato ogni tipo di abuso: dalla costruzione arbitraria di manufatti lungo le vie e le strade, alla regolazione degli scoli d’acqua che dovevano essere convogliati verso le fogne sotterranee. A gestire la vita economica della città e dei cittadini era un sistema fiscale semplice – altro che le complicazioni odierne – che si basava sulle imposte dirette. Erano di due tipi: il “pedaggio”, che veniva pagato dai forestieri che entravano in Viterbo magari portando con sé animali o cose e poi la “colletta” che era una tassa di famiglia progressiva, variabile a seconda delle necessità di cassa del Comune. Dal pagamento del pedaggio erano sempre esenti i viterbesi, tranne in un caso, allorché esportassero lana fuori della città. Niente tasse neppure per i cittadini di Montalto (chissà perché?) e per i rappresentanti di alcune famiglie benemerite, considerate fiscalmente alla pari di quelle viterbesi. Comunque nei giorni di fiera comunale e per Ferragosto gli esattori ….andavano in ferie. Una tregua di 24 ore, non un condono. Comunque un motivo in più per festeggiare, magari all’osteria o in campagna, ma, attenzione, solo fino ai rintocchi vespertini delle campane. Poi tutti a casa.

 

Prossimo appuntamento con Viterbo com’era il 13 agosto

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