Unitus: al seminario di studio sul potere giudiziario e la Costituzione interventi di Auriemma,Lupo, e Benedetti

di Donatella Agostini

Si è svolto lunedi 2 dicembre mattina in Santa Maria in Gradi, presso la facoltà di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali dell’Università della Tuscia, il seminario di studio di diritto pubblico dal titolo “Il potere giudiziario e la Costituzione: interpretare le fonti o produrre diritto?”. Una tematica estremamente importante e attuale quella dell’interpretazione delle leggi, ossia il modo in cui la norma, originata dalla scelta politica, diventa poi attuazione, applicazione concreta da parte dei giudici. Al seminario hanno partecipato Alessandro Sterpa, docente associato in Istituzioni di Diritto pubblico dell’Università della Tuscia; il procuratore della Repubblica Paolo Auriemma; il professor Alberto Maria Benedetti, ordinario di diritto privato all’Università di Genova e componente del Consiglio Superiore della Magistratura; Ernesto Lupo, primo Presidente Emerito della Suprema Corte di Cassazione e per quattro anni consigliere giuridico del Presidente della Repubblica. Ad introdurre i lavori è intervenuto il Rettore prof. Stefano Ubertini, che ha invitato i numerosi studenti intervenuti a far tesoro di momenti di approfondimento di alto livello come questi. Il seminario si è posto come corollario del percorso di studi seguito dagli studenti di Scienze Politiche, che stanno affrontando i temi del potere giudiziario e dell’interpretazione delle leggi, «un argomento fondamentale al giorno d’oggi», come ha affermato il procuratore Auriemma. «Sono convinto che il sistema giudiziario ricalchi perfettamente la società in cui viviamo. L’espressione “giudice bocca della legge” nacque quando, fino a qualche tempo fa, i sistemi normativi disciplinavano qualsiasi argomento riguardante la vita della collettività, e i giudici appunto si limitavano a dare voce alle leggi. Oggi sorgono dei problemi, derivanti dal fatto che spesso non esistono norme a sufficienza in grado di regolare tutti i casi particolari che la vita presenta; inoltre il giudice di oggi non deve più tenere conto soltanto delle leggi italiane, ma anche delle leggi comunitarie ed internazionali: l’interprete odierno deve saper coniugare tutte queste istanze». Come sanno bene gli studenti di diritto pubblico, è la Costituzione il faro in grado di orientare l’interpretazione di ogni legge; la nostra carta costituzionale contiene infatti tutti i principi in grado di disciplinare estensivamente materie che, al tempo in cui fu redatta, erano ancora ben lontane dal presentarsi. «Essere sensori dei diritti del territorio: ecco il nostro mestiere nella società moderna», ha concluso Auriemma. «Se non lo svolgiamo in maniera corretta, ecco che esiste quell’organo, la Corte di Cassazione, in grado di riportare la nostra interpretazione nei giusti binari». A seguire l’intervento di Ernesto Lupo, già Presidente appunto della Cassazione, che si è richiamato al titolo stesso del seminario. «Dal punto di vista teorico, non c’è contrapposizione tra l’interpretazione e la produzione del diritto. Per poter applicare concretamente una disposizione di legge, abbiamo bisogno sia della norma, sia della sua interpretazione, che hanno pertanto la medesima importanza. Ma il titolo di questo seminario pone piuttosto l’accento sul problema dell’estensione eccessiva che sta assumendo il potere di chi interpreta, il potere giudiziario». Negli anni passati i giudici avevano un senso di soggezione psicologica nei confronti del dato legislativo. Questo atteggiamento è cambiato nel corso del tempo, con l’introduzione dell’interpretazione conforme alla Costituzione, che ha ampliato la sua estensione. «Inoltre, il giudice ha oggi la libertà di disapplicare la legge ordinaria qualora contrasti con il diritto europeo. Si aggiunga il fatto che le leggi diventano di giorno in giorno sempre più incerte e mal formulate: più la legge è oscura, più cresce il potere del giudice che deve interpretarla. Ma ci dev’essere sempre equilibrio, altrimenti è patologia. E’ un problema complesso, ma affascinante». A conclusione dell’incontro l’intervento del professor Benedetti, che ha convenuto su quanto già affermato dai colleghi e ha aggiunto: «Vorrei assumere il tema del nostro seminario partendo dalla materia che insegno, che è diritto civile. Il nostro Codice civile è del 1942 ma affonda le sue radici fino all’Ottocento, ed è stato chiaramente formulato in un’epoca totalmente diversa dalla nostra. Il diritto civile aspira a regolare ogni aspetto della società, ed è molto facile che avvenga il fenomeno che la società corra più veloce del diritto: si pensi a come sia cambiato il concetto di famiglia nel corso del tempo. Oggi un giudice non può attenersi  scrupolosamente ai criteri formali impostigli dallo stesso Codice: deve intervenire un meccanismo di intermediazione». Il diritto, fermo restando il dato legislativo, ha cominciato a parlare una lingua diversa, alla luce della Costituzione, perché nel frattempo è mutata la formazione culturale degli interpreti. Questo ha mantenuto vitale un Codice seppure molto datato. «Oggi il sistema giuridico italiano si sta in qualche modo avvicinando ai modelli un tempo contrapposti della tradizione angloamericana, che non riconoscono la centralità dei codici e danno piuttosto ampio risalto e importanza alle sentenze precedenti», ha concluso il prof. Benedetti. «L’adeguamento del diritto privato alla realtà che cambia ha determinato un nuovo protagonismo dell’interprete-giudice il quale, attraverso le sue decisioni, garantisce la modernità costante del diritto che si adegua alle nuove necessità della società. Non c’è questione che si risolva oggi ricorrendo al solo Codice civile, c’è bisogno anche della fonte giurisprudenziale. In questo senso sì, i giudici producono diritto».

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