Tuscia in pillole. Canepina passa in Cantina

di Vincenzo Ceniti*

santa Corona

Castagne, funghi e “maccaroni”. A Canepina si può, specialmente in questi giorni autunnali. Appena una quindicina di chilometri da Viterbo, tra i boschi salutari dei Cimini che fecero tanto bene a Luigi Pirandello e Corrado Alvaro, due eccellenze della letteratura del Novecento che nel loro soggiorno in queste zone della Tuscia ci hanno regalato novelle, racconti, articoli, poesie e copiose corrispondenze di cui continuiamo a nutrirci.
Ma pensiamo ai “maccaroni” (più comunemente “fieno”), delizia dell’umanità e cibo degli dei, che ho conosciuto oltre mezzo secolo fa proprio da queste parti grazie a Venerina (che Dio l’abbia in gloria), alla guida di un bar-osteria sulla via centrale del paese frequentato più che altro dagli over del posto per le sorsate di bianco e il tressette. Accolse la mia famiglia negli ultimi anni Cinquanta del secolo scorso nella sala da pranzo del suo piccolo appartamento sopra l’osteria, al riparo dagli sguardi indiscreti di altri avventori. Privilegio riservato a persone di fiducia come noi. La sala era di passaggio alla camera da letto del nonno, costretto pertanto a starsene rinchiuso lì dentro per tutto il tempo del pranzo. Venerina ci deliziò da par suo con “maccaroni” e “ceciliani” (altra specialità della casa) rigorosamente con ragù di rigagli di pollo e pecorino grattugiato.
Oggi quell’osteria, grazie a Dio, è da tempo una trattoria tipica gestita dal figlio Felice a cui vi dovete rivolgere con fiducia pena una vita di rimorsi. È inutile raccontare come si fanno. Gli ingredienti sono pochi ma esclusivi; l’acqua di cottura, per esempio, deve essere del posto come l’aria. So poco su modi e tempi di lavorazione della pasta, ma so che dopo la scolatura i “maccaroni” vanno messi per alcuni secondi a rabbrividire in acqua fredda e poi sdraiati su un panno di canapa per disidratarli e alleggerirne il peso. Ecco perché al palato sono così soffici.
Dalla meta degli anni Ottanta del secolo scorso, complice un sindaco di allora, si gustano, in coincidenza con le “Giornate delle castagne”, anche in una decina di vecchie cantine fuori uso che da secoli bucano il masso tufaceo su cui s’appoggia il centro storico. Veri e propri sacrari del gusto, freschi d’estate e caldi d’inverno, momentaneamente trasformati in trattorie. Ecco qualche nome in dialetto locale A Ceppa e Bestatoo, A Magnatoa Bassa (Cantina ASD Canepinese), A Mescala, A Spianatoa, A Tiella, Cantina del Donatore, Cantina Pro-Loco, Eggovo de Brigandi, E Radiccio, E Zappori d’a nonna Speranza.
Ma Canepina – un tempo bollata con l’adagio irriverente di “passa e cammina” (come a dire non ti fermare perché non c’è niente da fare) – ci racconta anche la vita contadina tra campagne, boschi, castagneti, botteghe di bottari e maniscalchi nel Museo delle tradizioni popolari ben assestato nell’ex convento dei Carmelitani a ridosso di un grumo di vecchie case su cui s’appostano i resti di un maniero d’impianto medioevale.
Anche un paio di chiese. In quella di Santa Maria Assunta resiste la devozione per la patrona del posto santa Corona, una delle tante martiri su cui si è consolidata la Chiesa. Sembra che la giovane, appena sedicenne, dopo aver assistito alle torture inflitte al soldato cristiano Vittore, abbia gridato a squarciagola la sua fede in Cristo. Venne per questo arrestata e squartata viva. Erano i tempi di Marco Aurelio Antonino. Oggi è venerata e festeggiata il 14 maggio di ogni anno con messa e processione L’adagio di cui sopra di “Canepina passa e cammina” è decisamente cambiato in “Canepina, passa in cantina”.

 

Nella foto cover: la processione di Santa Corona

 

L’autore*

ceniti

Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.

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