Palazzo Papale eretto dal Comune per evitare la fuga dei pontefici

di Luciano Costantini

E’ il gioiello più prezioso che contiene lo scrigno di Viterbo: il trascorrere del tempo e l’incuria degli uomini lo stanno lentamente – speriamo non inesorabilmente – deteriorando. Al momento ci sono 500.000 euro, messi a disposizione della Regione, per cercare almeno di tenerlo in piedi, ma è chiaro che non saranno sufficienti perché è l’intero Colle del Duomo che rischia di rovinare. Stiamo parlando del palazzo dei Papi, più precisamente, della Loggia dalla quale per decenni si sono affacciati almeno una mezza dozzina di pontefici per impartire benedizioni, ma pure per distribuire scomuniche. La città, si sa, era il polo decisionale della Chiesa medievale. Quel palazzo e quella Loggia nacquero più per necessità che per scelta. E’ bene precisarlo subito. Nei primi anni del tredicesimo secolo i successori di Pietro erano ospitati nel palazzo degli Alemanni, sul colle di San Francesco. Di esso non è restata alcuna traccia: troppo esteticamente modesto, troppo angusto per ospitare la pletora di cardinali, prelati e chierici della corte papale, soprattutto troppo lontano dalla cattedrale di San Lorenzo che era il centro liturgico della Chiesa. Insoddisfazione crescente del clero che, prima sommessamente poi con esplicite minacce, pensava di dover trasferire armi e bagagli in una città che risultasse più accogliente. Un abbandono, una “fuga”, che avrebbe significato perdita di prestigio e collasso progressivo dell’economia viterbese. Da qui la necessità per gli amministratori locali di localizzare un sito spazioso e adatto per erigere una dimora più degna per i Papi. Fu individuato il Colle di San Lorenzo che praticamente era stato spianato dopo la distruzione delle torri (una ventina, pare) che avevano ospitato i ghibellini dell’imperatore, Federico II. Resistevano soltanto l’antica canonica e un modestissimo vescovado, tra i quali sorgeva un altrettanto modesto ospedale, quello di Santo Stefano, che fu raso al suolo rendendo così possibile un collegamento diretto tra la chiesa e la casa vescovile. Mancava ovviamente la sede papale, che fu realizzata in tutta la sua bellezza nel 1266 ad opera del Capitano del Popolo, Raniero Gatti. “Procedea le papali stanze un’aula sterminata, le cui altissime mura sostenevano un tetto a scheletro, e, sul lato prospiciente il dirupo di Faul, erano forate da tre immensi finestroni d’una stupenda architettura. Quest’aula venne indi a poco famosa, per esservisi racchiusi a forza Cardinali renitenti alla elezione del Pontefice, che fu poi Gregorio IX; dal che trasse l’uso dei conclavi, sanciti dipoi con solenni costituzioni della Chiesa”. Così Cesare Pinzi nella “Storia della città di Viterbo”. Che aggiunge come il palazzo del Conclave fu affiancato da due ali di fabbricati che il Comune si impegnò a terminare nell’arco di una decina di anni, come testimonia un accordo scritto tra l’amministrazione e Niccolò III. Una costruzione robusta e austera, il palazzo, che necessitava per questo di essere ingentilita nelle sue fattezze. All’operazione si dedicò Andrea di Beraldo, erede di Raniero e rampollo della famiglia Gatti, che avviò la costruzione del Loggiato: un enorme arco reggeva un ampio pavimento, che a sua volta sosteneva una “selva” di colonnine su entrambi i lati, quello rivolto alla piazza e quello che guardava la valle di Faul. Sopra, scolpiti sulla pietra, gli stemmi dei Gatteschi (con sbarre orizzontali), dei Di Vico (con le aquile), di Viterbo (con il leone e la palma di Ferento). Una Loggia che era un inno alla bellezza artistica, ma pure delicata come una porcellana di Limoges, tanto è vero che la struttura che si affacciava sulla valle sottostante fu mangiata rapidamente dal tempo e da eventi sismici. Insieme ad essa rovinò anche la tettoia che saldava le due logge gemelle. Sulla piazza antistante venne innalzata una fontana e, più tardi, un campanile “listato a pietre bianche e nere, traforato per quattr’ordini di gotiche finestre e coronato da una cuspide piramidale”. La Loggia, il Palazzo e la Cattedrale evidentemente resistono, ma l’intero Colle è in condizioni fisiche più che preoccupanti: avrebbe il diritto di essere risanato e consolidato. Per la storia che rappresenta e per il suo futuro. Il Paese, Viterbo, avrebbero il dovere di impegnare significative risorse, morali e materiali, per salvare un patrimonio che è universale.

Foto:archivio Viterbo in Rete

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