Si chiama “Percorso dell’Abate”. Parte dalla chiesa delle Fortezze a arriva fino a porta Faul, passando per porta del Carmine. In mezzo, il complesso formato dal palazzo di Donna Olimpia e di San Pietro insieme. L’obiettivo ambizioso del Comune di Viterbo è quello di procedere al risanamento e al rilancio di questa storica “direttrice” che riattiverebbe un centro davvero nevralgico del centro storico. “Si tratta di eliminare un autentico buco nero”, puntualizza l’assessore ai Lavori Pubblici e Centro Storico Laura Allegrini, che insieme al collega al patrimonio Paolo Barbieri, illustra a palazzo dei Priori il project financing che tra qualche settimana approderà in Consiglio comunale per il necessario via libera. “Con questa operazione – sottolinea il sindaco Giovanni Arena – intendiamo dare un segnale forte sull’impegno dell’amministrazione in questo settore”. Di cosa si tratta? In sostanza, l’edificio che fu di Donna Olimpia Maidalchini (la “Pimpaccia”) e l’annesso complesso che fino al 1969 ha ospitato un brefotrofio, in prossimità di porta San Pietro, diventeranno un centro polifunzionale in grado di mettere a disposizione 57 stanze, 100 posti letto, aree riservate a conferenze, biblioteca, uffici comunali. Se ne gioverebbe soprattutto l’università che ha mostrato già un rilevante interesse. In totale 5.500 metri quadrati (al coperto e non) 500 dei quali saranno riservati proprio all’amministrazione municipale, verosimilmente da utilizzare come sedi di due assessorati. La doppia struttura sarà collegata, attraverso il “Percorso dell’Abate” alle due porte di città del Carmine e di Faul. “Percorso – precisa Laura Allegrini – che costituirà il vero e proprio volano di riqualificazione del centro storico”. Un progetto che al momento vale 10.000 euro, così come certificato dalla K2 Costruzioni che lo ha presentato al Comune. Esso nelle prossime settimane approderà nell’aula consiliare. Subito dopo verrà indetto il bando per individuare il soggetto che si aggiudicherà la ristrutturazione del complesso e quindi gestirlo per 45 anni, a partire dall’assegnazione dell’appalto. L’amministrazione comunale non incasserà un euro, ma non ne spenderà. Comunque potrà condurre in porto una operazione di salvataggio e risanamento di un gigantesco doppio immobile che rischiava addirittura il crollo tanto da richiedere l’allontanamento di decine e decine di enti e associazioni che per anni vi hanno trovato sede. Incerti, evidentemente, i tempi di realizzazione del progetto. “Difficile stabilirlo – sospira l’assessore Barbieri – perché gli ostacoli potrebbero essere molti e di diverso tipo. L’importante è intanto avere un project financing. Speriamo che altri ne arrivino per altrettante strutture che oggi sono abbandonate. Il teatro del Genio tra queste. Si accettano proposte serie”.
Una storia che merita di essere raccontata, quella del Palazzo di Donna Olimpia Maidalchini. Situato accanto a Porta San Pietro, uno dei varchi più antichi che si aprono nelle Mura cittadine, si erge questo monumentale fabbricato.
I partiti murari della massiccia costruzione raccontano le vicissitudini architettoniche che, a più riprese, sono succedute nel corso del tempo, parallelamente al mutamento di destinazione d’uso dello stabile.
La storia del palazzo inizia nel XIII secolo, quando fu eretto per divenire la sede dei monaci cistercensi di San Martino al Cimino e, come tale, era anche noto come Palazzo dell’Abate.
I cistercensi furono presenti a Viterbo sia nella compagine maschile che in quella femminile: i monaci, insediati nel complesso di San Martino al Cimino, abitarono nel palazzo presso Porta San Pietro, mentre le monache di clausura risiedevano nel convento di Santa Maria del Paradiso.
Le componenti duecentesche del grande palazzo dell’Abate, impostato su una pianta irregolare, sono più evidenti nel rigido apparato murario in conci di peperino del lato merlato addossato alla porta, di cui sono superstiti le due bifore con lunetta traforata.
L’edificio andò successivamente incontro ad alcune modifiche. Nel 1500 il cardinale Francesco Piccolomini, dopo essere divenuto commendatario dell’Abbazia di San Martino, prese possesso dell’antica residenza viterbese e la fece opportunamente restaurare. Poco dopo ne promosse l’ampliamento, con l’aggiunta di un corpo di fabbrica esterno alle mura urbane e ad esse inglobato, innestato obliquamente al preesistente.
Nel 1654 Donna Olimpia ricevette dal cognato, papa Innocenzo X Pamphili, il titolo di principessa di San Martino, entrando poi in possesso del palazzo viterbese. Successivamente il fabbricato originario fu prolungato fino a chiudere la circonvallazione interna ed unito alle case di via San Pietro. (fonte Ufficio Turistico Viterbo)