Ho visto un re, nuovo film di Giorgia Farina si mostra come una deliziosa fiaba agro-dolce, che si fa denuncia, tratta da una storia vera e raccontata attraverso gli occhi un bambino.
“Ho scelto di realizzare questo film perché ho trovato lo straordinario nel reale, in una storia vera che sembra quasi impossibile da credere. Raccontarla attraverso gli occhi di un bambino mi ha permesso di trasformare il dramma in avventura e il diverso in meraviglia”, racconta la regista.
Il piccolo Emilio, sognando i colori del mondo di Salgari e del suo eroe Sandokan, grazie anche alla sua fervida fantasia, è in grado di creare un antidoto alla crudele realtà della dittatura fascista e mettere in salvo la vita del “nuovo eroe” che improvvisamente gli si palesa di fronte.
Nel 1936, in piena invasione coloniale dell’Etiopia, nella cittadina di Roccasecca a sud del Lazio giunge Abraham Imirru, giovane e colto Ras etiope, che viene sistemato nella voliera del pavone della villa del podestà del paesino: Marcello, un Edoardo Pesce in ottima forma, padre di Emilio.
Sebbena in un primo tempo venga trattato discretamente bene, nella speranza di spingerlo a collaborare fornendo informazioni circa i ribelli della sua terra, diviene ben presto una vera attrazione per gli abitanti del paese.
La sua presenza focalizza l’attenzione della gente del posto abituata ad una vita semplice, scandita dalla propaganda politica ed è per tutti oggetto di curiosità e pettegolezzi, ma non per il piccolo Emilio.
Per lui è un vero eroe, il suo Sandokan, che infinitamente ama e alla cui lettura è spinto dallo zio materno: uno splendido Lino Musella, personaggio colto e sui generis che tiene alla formazione culturale del nipote, in seguito deriso e costretto alla fuga in quanto gay e per questo da inviare al confino nel migliore dei casi.
Per Emilio Abraham non è “lo sciommione puzzolente”, neanche il selvaggio non in grado di “spiccicare una parola d’italiano”.
Pian piano grazie ad Abraham agli occhi di Emilio la realtà si trasforma e la crudeltà della guerra si dissolve nella volontà di eludere i dogmi paterni e di rinascere ad una nuova vita.
Abraham diviene quindi il coprotagonista del film, figura chiave per un vero cambiamento e una reale liberazione sia di Emilio che di tutti coloro che intratterranno rapporti profondi con lui.
La forza del film sta nello sguardo innocente e privo di sovrastrutture che soltanto l’infanzia è in grado di avere e che permettere di trasformare il reale in una nuova avventura, coinvolgente e liberatoria.
Tramite la potenza della favola moderna, Giorgia Farina tiene lo spettatore sospeso tra lo stupore del mondo infantile inteso come mezzo di fuga e i toni a tratti caricaturali propri della commedia.
Il risultato è un film ironico, gradevole, pungente, onirico in cui il regime fascista del ventennio viene rappresentato nelle sue ossessioni siano essere rivolte verso il diverso: un nero, un omosessuale, o semplicemente colui che non si allinea ai dettami del regime, che verso le donne prive del desiderio di sposarsi e far figli.
Un racconto di denuncia che, grazie alla favola, permette di riflette sull’autoriarismo, la propaganda, il razzismo, esaltando l’inifinito potere della fantasia.
Il tutto quasi in punta di piedi, con un linguaggio incline al riso, avvolto da una sottile ironia, anch’esso in grado di mostrare le contraddizione del periodo storico dove un’invasione veniva definita “una pacifica guerra!”.