Ferento, arriva Vinicio Capossela con le sue “Ballate per uomini e bestie”

Arriva Vinicio Capossela nell’antico teatro romano di Ferento lunedì 5 agosto, ore 21.15, con il suo ultimo album “Ballate per uomini e bestie”, momento clou della 54a stagione estiva di spettacoli, organizzata dal Consorzio Teatro Tuscia, assegnatario del bando del Comune di Viterbo, con il sostegno di Ance Viterbo e con la direzione artistica di Patrizia Natale, in collaborazione con Archeotuscia onlus e TusciaE20.
Con “Ballate per uomini e bestie” Capossela chiude un cerchio, si riallaccia fortemente al suo percorso originale, quello che aveva lasciato un po’ in sospeso con “Ovunque proteggi”, per presentare un concerto che rasenta il capolavoro, anche in quelle canzoni complesse, dove sembra che la musica insegua la metrica scoordinata del canto e della parola.
E che parola, non si può far altro che aggiungere; la poetica di Capossela, così intensa ed evocativa, raggiunge apici quasi inarrivabili al confronto con gli altri cantautori della sua generazione; quelli nuovi, ci sentiamo di dire, nemmeno giocano lo stesso sport. Con “Ballate per uomini e bestie” Capossela dunque torna sull’attualità, come forse mai nella sua discografia aveva fatto con così tanta incisività, a partire proprio da “Povero Cristo”, singolo che ha anticipato l’uscita del disco con un video firmato dal regista palermitano Daniele Ciprì e che vede come protagonisti Enrique Iatzoqui, il Gesù de “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini, Marcello Fonte, Palma D’Oro 2018 a Cannes per Dogman e Rossella Brescia; un video girato interamente a Riace, “Posto – spiega Capossela – dove si è tentato di mettere in atto la buona novella ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’, anche se poi il progetto è stato bruscamente interrotto”.
Il cantautore, classe ’65, nato in Germania ad Hannover ma cresciuto in provincia di Reggio Emilia, prosegue poi con la spiegazione del brano “La peste”, dove azzarda un parallelismo con il web, anche se specifica:
“La rete non è la peste ma, come la peste, come l’aria, è veicolo di trasmissione di alcune delle più grandi oscenità. Il problema del web è che non abbiamo elaborato un’etica della consapevolezza”.
Il brano non è stato scritto in memoria di Tiziana Cantone, la ragazza che si è tolta la vita dopo che alcuni suoi filmati intimi sono finiti in rete, ma è a lei che è stato in seguito dedicato. Si va avanti nello snocciolamento dei brani del disco attraverso la cinematografica “Danza macabra” che affronta il tema della paura come arma per il consenso politico; per poi passare alla spiegazione de “Il testamento del porco”, cerimoniale orchestrato in onore di un animale “tra i più simili all’uomo”.
Con la “Ballata del carcere di Reading” Capossela omaggia Oscar Wilde e il suo periodo oscuro, quello da carcerato, dove, secondo il cantautore “Wilde scopre la compassione, l’andare oltre sé per entrare in empatia con l’altro”, canzone apertamente critica nei confronti della pena di morte. Passaggio poi attraverso “Nuove tentazioni di Sant’Antonio”, dove Capossela si interroga, con quello che definisce un “punk medievale”, su quale siano le nuove tentazioni del male. Attraverso “La belle dame sans merci” si passa a “Perfetta letizia”, brano che riprende i famosi fioretti di Francesco D’Assisi, riconoscendone il genio quando nel testo cerca e trova la letizia “proprio dove meno te l’aspetti”.Altra nobile citazione nel caso de “I musicanti di Brema”, celebre favola dei fratelli Grimm, che ci introduce a “Le loup garou”, quasi un moderno trattato in musica sulla licantropia. Interessante la storia, vera, che si cela dietro “La giraffa di Imola”, che scappando, in tutta la sua maestosità, si ritrova nel centro della città dove “la sua bellezza mette in evidenza la bruttura circostante”. E attraverso “Di città in città (…e porta l’orso)” si arriva a “La lumaca”, ballad romantica ispirata dal giornalista Vincenzo Mollica, che quando tempo fa Capossela gli disse che stava preparando un album con “Ballate per uomini e bestie”, lui rispose “Non ti dimenticare della lumaca!”.
Capossela ha impiegato sette anni per concludere un’opera dove ritorna a raschiare, cantando, il fondo del barile della società, una società che è diversa da quella meravigliosamente terra terra della sua Contrada Chiavicone, dei suoi hotel di periferia, della sua amata provincia affollata da bar frequentati dagli ultimi, dagli esclusi, categoria cui epica lui, come nessuno, ha celebrato nei suoi brani; una società, insomma, molto meno poetica, molto meno divertente, molto più tristemente veloce; stavolta si guarda alla realtà di questa Italia 2.0, con la maturità che lo sta accompagnando nel cammino della propria carriera.

www.teatroferento.it

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