62esimo anniversario della tragedia del Vajont il Museo delle Enciclopedie annuncia una serie di attività culturali legate alla vicenda

1 (1).jpgVajont ph Alfredo Mariani

Nonostante la cronaca e il giornalismo, così come l’arte nelle sue espressioni di letteratura, cinema e teatro, abbiano indagato e descritto anche con grande valore e intensità quello che accadde la notte del 9 ottobre 1963 alla diga del Vajont, ritengo che ci siano ancora cose da dire, da approfondire e forse ancora da svelare”. Sono queste le parole di Alfredo Mariani, fondatore del Museo delle Enciclopedie, per annunciare nella data dell’anniversario l’avvio di un ciclo di studi sui fatti che portarono al disastro.

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Le persone di una certa età ricordano perfettamente quello che accadde: si trattò della più grande tragedia che ha colpito l’Italia nel ‘900, seconda solo al terremoto di Messina e di Reggio Calabria del 1908 e del terremoto dell’Irpinia del 1980. Con la differenza che le prime due tragedie avvennero per cause naturali mentre quella del Vajont accadde per negligenza umana, a volersi esprimere delicatamente.  Per i più giovani ricordiamo i fatti salienti: sulla stretta gola del torrente Vajont, a cavallo delle province di Belluno e di Pordenone, nel 1963 venne completata la costruzione di quella che allora fu la diga più alta del mondo e ancora oggi è una delle maggiori, con una altezza di oltre 260 metri. Un capolavoro della ingegneria italiana. Ma quando l’invaso fu completamente riempito di acqua, centinaia di milioni di metri cubi di terra e roccia, staccatisi dal sovrastante Monte Toc, piombarono nel profondo lago artificiale generando un’onda che scavalcò la diga e spazzò via i paesi di Erto, Longarone ed altre località circostanti. Fu una tragedia annunciata: gli abitanti del posto, esperti indipendenti, giornalisti e sindaci del territorio per mesi e mesi avvisarono sugli altissimi rischi, evidenti per la conformazione geologica dei luoghi. Ma non furono ascoltati. Vi furono 2000 vittime quella stessa tragica notte e quei morti vennero seguiti da una serie infinita di lutti: i sopravvissuti che ebbero le famiglie sterminate e le case distrutte, soprattutto le persone più anziane, non resistettero a lungo al dolore. Malattie, suicidi e depressione continuarono la strage.

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“A Longarone ho incontrato un signore di 90 anni”, dice Mariani. “Mi ha raccontato che sta piangendo da 63 anni. Ha perso tutta la sua grande famiglia. Il 9 ottobre 1963 sono stati inghiottiti dall’acqua e dal fango 16 suoi familiari, e quasi nessuno fu ritrovato. I genitori, la moglie, i figli, i fratelli, i nipoti. Piango senza lacrime, ha detto. Non ne ho più. Ogni giorno sto qui e guardo la diga, lassù. E penso che non può essere vero, che sia solo un incubo. Ma è un incubo dal quale, da 63 anni, non riesco a svegliarmi”.

Per questi motivi il Museo delle Enciclopedie, nell’anniversario della tragedia, annuncia una serie di attività legate a questa drammatica vicenda storica. Ci saranno una serie di tavole rotonde, una o più mostre di fotografie e documenti, una serie di visite guidate nei luoghi del bacino del torrente Vajont e della sua diga, alcune letture interpretate da attori teatrali.
Abbiamo il dovere morale di ribadire il valore della memoria, oltre all’impegno di tramandare la storia di quei fatti e di quelle persone alle nuove generazioni. Perché non accada di nuovo, compito comunque difficilissimo da adempiere.

Per chi volesse approfondire gli eventi che portarono al disastro consigliamo il film “La diga del disonore” di Renzo Martinelli del 2001, disponibile online; il monologo teatrale “Il racconto del Vajont”, interpretato da Marco Paolini, disponibile su Youtube; il libro della giornalista Tina Merlin dal titolo “Sulla pelle viva”, pubblicato da CiErre Edizioni e disponibile nelle principali librerie online.

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