Una croce in peperino, confusa tra le erbacce e i blocchetti smozzicati delle mura di quello che fu il palazzo di Federico II, lungo viale Raniero Capocci. Un nome e una data: Jaromir Czernin; 12 luglio 1921. E’ quel che resta di una vita, di una famiglia, di un dramma, consumati nelle cruente lotte che coinvolsero Viterbo poco più di un anno prima della Marcia su Roma. Arditi del popolo da una parte, fascisti dall’altra. Di quei giorni, di quei mesi, resta ben poco nella memoria. Ancor meno della tragica storia degli Czernin, riportata alla luce dagli studi preziosi di Silvio Antonini, un ricercatore dell’Università della Tuscia. Un “giallo” a tinte internazionali, si direbbe. Perché gli Czernin formavano una famiglia mitteleuropea. Quel giorno di luglio di novantasette anni fa, stanno viaggiando su una fiammante Alfa Romeo Torpedo, partita da Assisi e diretta a Roma, via Orvieto. Alla guida Lucille Beckett Frost, discendente di una nobile famiglia britannica, a fianco il figlio maggiore Paul Czernin, sul sedile posteriore i figli minori Edmund di quindici anni e Jaromir di sedici. E’ con loro lo chauffeur Enrico Pastecchi. Il capo famiglia, Otto Von Czernin, non è presente: è stato ambasciatore d’Austria e Ungheria presso la Santa Sede. E manca anche il piccolo Manfred. Sono le 16 e l’auto da Porta Murata ha appena imboccato viale Raniero Capocci quando viene crivellata da una salva di colpi di fucile, partita dal terrapieno lungo il quale si allunga la ferrovia. Chi ha sparato probabilmente ha scambiato gli occupanti della vettura per fascisti in fuga. La macchina si trascina zigzagando per un centinaio di metri, poi si arresta. Jaromir è morto all’istante, al fratello Paul sarà amputata una gamba, gli altri occupanti restano feriti. La Torpedo, guidata dall’autista Pastecchi, comunque riesce a raggiungere l’Ospedale Grande degli Infermi, dopo aver superato indenne una seconda scarica di fucileria partita a piazza della Morte. La città è in subbuglio: colpi di pistola, rintocchi di campane, urla, assembramenti lungo le strade. Si è riacceso lo scontro tra Arditi del Popolo e Fascisti. Partono le prime indagini dei carabinieri. C’è chi accusa un gruppo ben noto di Camice Nere che magari vorrebbe scatenare il caos; chi accusa antifascisti locali impegnati in improvvisati posti di blocco sulla Cassia, chi accusa perfino i militi dell’Arma che avrebbero sparato dalla caserma del Paradiso. Impossibile, considerata la distanza. Scattano gli arresti. Inutile riportare nomi e cognomi di presunti responsabili che, a quasi due anni di distanza dai fatti, saranno tutti rimessi in libertà o perché estranei alla drammatica vicenda o perché hanno potuto godere di una sopraggiunta amnistia (22 dicembre 1922). La storia cade praticamente nell’oblio. A darne testimonianza oggi solo quella croce in grigio abbarbicata lungo viale Raniero Capocci. Le ultime notizie della famiglia Czernin risalgono ad alcuni anni or sono: Lucille Beckett Frost, la madre, autrice di scritti filosofici e religiosi, morirà nel 1979 a novantaquattro anni; Edmund studierà a Oxford e sarà diplomatico a Praga fino all’invasione tedesca della Cecoslovacchia quando fuggirà negli Usa partecipando poi alla Liberazione dell’Austria dal nazismo; Paul sceglierà di vivere nelle campagne di Graz, sempre in Austria e morirà nel ’55 lasciando un figlio di nome Jaromir e tre figlie; Manfred sarà ufficiale di collegamento inglese con i partigiani del Bergamasco; il padre Otto lascerà questa terra nel 1963.

Fotostorica di Silvio Antonini

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