Viterbo ricorda Peppino Impastato a 40 anni dalla morte per mafia

Donatella Agostini

«Noi ci dobbiamo ribellare alla mafia. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!». Era il nove maggio di quarant’anni fa: Peppino Impastato, giornalista e conduttore radiofonico impegnato in prima linea a denunciare le attività criminali di Cosa Nostra, venne barbaramente ucciso a Cinisi, in provincia di Palermo. La città di Viterbo l’ha ricordato in occasione dell’anniversario della sua scomparsa, con un incontro organizzato dall’Associazione “Solidarietà Cittadina” presso il Parco a lui dedicato nel quartiere Pilastro, alla presenza del sindaco Leonardo Michelini. «La mafia commise un enorme sbaglio a togliere di mezzo Peppino Impastato: egli è più vivo che mai e parla ancora da allora alle nostre coscienze, perché la vita va vissuta per realizzare ideali e non nell’indifferenza, che per lui era la forma più bassa di vigliaccheria». A parlare la prof.ssa Maria Immordino, siciliana come Impastato e profonda conoscitrice delle problematiche della sua terra, che da allora sono diventate di interesse nazionale ed internazionale, tanto i tentacoli delle organizzazioni si stanno allungando nel nostro continente, agevolate da un atteggiamento di indifferenza e di sottovalutazione del pericolo. L’evento, patrocinato dal Comune di Viterbo, ha visto anche la partecipazione di alcuni studenti del liceo musicale di Viterbo, che hanno letto frasi e citazioni di Impastato. Questa figura di persona qualunque, che pure giganteggia eroicamente nel nostro recente passato, idealmente affiancata a guerrieri del calibro di Falcone e Borsellino, la vogliamo ricordare con una delle sue frasi più famose e più belle: «Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore».

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