Un sabato mattina in città. Ricordando Md Abul Basar Matubbar 

Di Maria Teresa Muratore

Ricordando Md Abul Basar piazza san lorenzo

Una fredda e luminosa mattina di sole.

Un caffè con una amica.

Un lusso inconsueto.

Parlare di tutto e di niente, parlare liberamente, sentirsi in sintonia, e poi all’improvviso vergognarsi di appartenere a questa città, sentirsene estranea, scioccata dal racconto tristissimo di una notizia di cronaca che mi era sfuggita.

Qualche mese fa un ragazzo immigrato si è tolto la vita e lo hanno trovato appeso ad un gancio in piazza dei papi. Aveva appena trent’anni e si chiamava Md Abul Basar Matubbar.

Aveva il permesso di soggiorno, lavorava ed abitava nel centro storico. Solo che in questa “civile” città si urinava e sputava e defecava davanti al suo portone di casa. In questa “civile” città un ragazzo si è sentito così sgradito, così intollerato, così emarginato, da non poter sopportare più il peso di affrontare la sfida di un nuovo giorno.

Perché tanta bassezza? Tanta cattiveria? Tanto odio?

Lo vedo ritratto in una foto nel suo vestito del Bangladesh, uno sguardo pulito, con gli occhi intensi che hanno gli indiani, e con il pollice in su a dire ok, come possiamo essere stati così perfidi da spegnere l’entusiasmo di una giovane vita al punto che per lui l’unica via di uscita da tanta sofferenza sia stata la morte?

Ma il suo gesto è stato anche di denuncia, non si è nascosto nel togliersi la vita, lo ha fatto esponendosi, come in una gogna: il suo corpo esanime dice “Guardate come siete stati crudeli, guardate cosa mi avete fatto”.

Ricordando Md Abul Basar piazza san lorenzo su maria teresa muratore

 

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