Se la Viterbese avesse una propria Hall of fame a Stelio Stavagna spetterebbe un posto di primissimo piano: 235 presenze, quattro in meno del mitico Aldo Bernini; 62 gol realizzati, appena dietro gli indimenticabili Pietro Cipriani (91), Pietro Lucaccioni(67) e Pino Scicolone (65), leoni gialloblu dei tempi in cui il campo della Palazzina era uno sterrato che nascondeva giocatori, passaggi, tiri, dietro turbini di polvere e prima di diventare l’amato green del Rocchi. Però Stavagna detiene un record assoluto, sicuramente imbattibile, quello di essere stato il primo “straniero” ad indossare la casacca gialloblu. Lui, profugo fiumano – oggi lucidissimo ottantasettenne – costretto a fuggire dalla città, alla fine del secondo conflitto, sotto l’incalzare dell’esercito di Tito. “Anni tremendi – racconta con accento nordista, una via di mezzo tra il veneto e il friulano – perché il futuro era incerto e il presente drammatico. Io e la mia famiglia restammo a Fiume dal ’45 al ‘47 in attesa di sapere se saremmo rimasti italiani o saremmo dovuti diventare jugoslavi”. Come arriva a Viterbo? “Il trasferimento di mio padre, che era dipendente provinciale, fu abbastanza semplice: la città era vicina al mare e vicina a Roma e scelse appunto Viterbo. Avevo 15 anni e già giocavo nella squadra dei Magazzini Generali che contendeva la leadership cittadina alla Fiumana”. Arrivato a Viterbo diventa gialloblu…”Per niente, cominciai a giocare con i ragazzi de La Quercia perché si era subito sparsa la voce che a pallone ci sapevo fare. Avevo però handicap: il mio sviluppo fisico era avvenuto in tempo di guerra e a Fiume si era sofferta la fame perché non arrivava niente. L’anno dopo andai alla Viterbese, terza categoria. Poi la società si sciolse. Presidente era Biscetti e c’era anche Allegrini la cui figlia oggi è impegnata in politica. Prima cominciai a giocare nella squadra ragazzi e subito dopo feci il mio esordio in serie C. Anno ’48-’49. Campo sterrato…la polvere che ho dovuto mangiare”. Ricordi indimenticabili. Mentre parla Stavagna si gira tra le mani un pacchetto di foto, quasi tutte ingiallite, che però rinverdiscono la memoria. “Rammento Spataro, ho sofferto tanto per la sua scomparsa. E poi il fortissimo Giovannone, Recchia che ha giocato in serie A con la Lazio. Questo qui è il dirigente Cinesi, proprietario di una cappelleria in via Roma”. Qual è il gol più bello e magari più importante che segna? “Contro il Montefiascone, probabilmente in Promozione, era un derby. Ero piccolo, ma avevo un gran colpo di testa. E andavo a rete tuffandomi. Nella partita contro il Poligrafico ne feci 5 tutte insieme”. La soddisfazione più grande? “Quando si saliva di categoria perché i migliori giocatori erano tutti militari che a fine stagione lasciavano la città. E l’anno successivo la squadra doveva essere rifatta”. E il dispiacere? “Quando salimmo dalla Prima Divisione al campionato di Promozione. Partita decisiva, tutti indicavano me per calciare un rigore altrettanto decisivo. Tutti d’accordo a spingermi…lo tira Stavagna…lui è calmo. Al momento di tirare però mi prese un crampo, tirai comunque e sbagliai. Per fortuna alla fine vincemmo 2 a 1”. Venendo da Fiume che Viterbo trova e il tifo com’è? “Città di provincia, non c’era gente che capisse di calcio. Mancavano persone di una certa consistenza economica e chi si avvicinava alla società aveva interessi economici più che sportivi. La Viterbese era un veicolo da utilizzare per la politica. Il tifo? Poca roba”. Quanto la pagano per giocare? La prima risposta di Stavagna è una risata. “Macché, oltre al premio partita ogni anno mi promettevano le famose centomila lire d’ingaggio che non mi davano mai. Così un giorno decisi di accogliere la proposta di giocare con l’Amiata in prestito. Accettai anche perché il mio sogno era acquistare una Lambretta che effettivamente comperai e con la quale andavo puntualmente agli allenamenti. Conservo ancora la fotografia. Poi tornai alla Viterbese e intorno ai 29 anni lasciai il calcio perché il mio fisico cominciava a risentire dei problemi avuti con la guerra. Pensi che riuscivo a digerire il pasto di riso che consumavamo prima della partita soltanto al termine dei 90 minuti. Poi ho fatto il segretario provinciale della Federazione calcio per 35 anni e l’impiegato comunale. Oggi mi godo figli e nipotini”. Segue ancora il calcio? “In televisione, sono tifoso dell’Inter”. Qual è la differenza tra il calcio che giocava lei e quello attuale? “Oggi non si deve perdere il possesso palla, prima era lancio lungo e pedalare. Però il gioco adesso lo trovo più noioso. Una volta c’era più fantasia. Una caratteristica che era diventata il mio marchio di fabbrica. Facevo puntualmente sparire la palla al mio avversario. Dribbling e velocità”. Quasi un brasiliano, nato a Fiume e sbocciato a Viterbo. E non è poco.
Stelio Stavagna leone gialloblu anni ’50, un brasiliano nato a Fiume e sbocciato a Viterbo
di Luciano Costantini