La guerra tra frati e preti per la collina di San Francesco nel XIII secolo

di Luciano Costantini

Dici san Francesco e il pensiero corre immediatamente al poverello di Assisi. Esempio supremo di bontà, di generosità, di amore infinito per gli uomini, per gli animali, per le cose. Papa Gregorio IX, nato Ugolino dei conti di Anagni, nutre per lui un’autentica venerazione e nel mese di luglio del 1228 ne decreta la canonizzazione. Qualche anno dopo – siamo nel 1236 – fa dono ai Frati Minori Francescani di oltre sessanta casupole, su un centinaio disseminate sull’intera collina che si eleva al di sopra dell’attuale porta Murata. Sulla cima, sollecita il pontefice, i frati dovranno edificare la loro chiesa e il loro convento. Papa Gregorio mica ha scelto Viterbo a caso: qui è più che numerosa e integrata la colonia francescana. Il nuovo cenobio ospiterà nel tempo e tra gli altri, frate Soldanerio che aveva già dimorato nell’ospedale degli Armeni vicino a san Giovanni in Zoccoli, e poi il famoso frate Ginepro, ricordato nei Fioretti Francescani. Ma la costruzione della chiesa e del convento, con conseguente sistemazione dei frati, è tutt’altro che rapida e comoda perché sul cucuzzolo della collina c’è già da diversi decenni un’altra chiesa dedicata a sant’Angelo, gestita dal priore Veglianotte, che garantisce ai canonici cospicue, pure se non eccezionali, rendite fondiarie, ma non indifferenti oboli dei parrocchiani. Basti pensare che essi ogni anno devono pagare una tassa equivalente all’odierna Imu e portare sull’altare di sant’Angelo un’offerta speciale per pagare l’incenso (si fa per dire). Altre rendite arrivano in occasione delle grandi solennità come il Natale, la Pasqua, la festa patronale. Infine, la madre di tutte le tasse: gli abitanti della collina di sant’Angelo e dintorni devono essere sepolti esclusivamente in prossimità della chiesa e rispondere ai cosiddetti diritti di stola bianca e di stola nera (jus vivorum et mortuorum), cioè pagare le prestazioni per alcuni sacramenti e per i funerali. Tutto sommato, robuste entrate, alle quali francamente è difficile rinunciare. Il papa comunque con la bolla del 1236, conferisce il dono della collina e delle casupole ai Frati Minori. Una vera e propria espropriazione che scatena una accesissima lite tra i preti da una parte e i frati dall’altra. Non si giunge allo scontro fisico soltanto perché in campo sono due schieramenti religiosi che formalmente sono tenuti e rispettare il comandamento francescano “pace e bene”. Gli sgarbi, le offese, le proteste però arrivano ogni giorno insieme alla distribuzione delle sacre ostie. Gregorio IX è amareggiato e anche indispettito, tuttavia ha altro a cui pensare e certo non intende entrare direttamente nel merito dello scontro tra frati e preti. Così ne affida la soluzione al giudizio di una commissione formata dal cardinale viterbese Capocci, dal camerlengo della città e dal priore di san Matteo di Sonza. Il lodo è costruito su un autentico compromesso: i frati francescani potranno restare in sicurezza sulla collina, ma non potranno dare sepoltura ai parrocchiani né potranno confessarli né chiamarli alle funzioni religiose nelle domeniche e nelle altre feste comandate, anzi i fedeli tutti dovranno rispondere agli inviti dei preti della canonica portandosi dietro le abituali offerte. Se non fosse chiaro il rapporto diretto ed esclusivo esercitato dai preti stessi sui parrocchiani, nel lodo viene pure precisato che i frati non potranno pretendere dai parrocchiani alcuna decima, cioè una parte del loro reddito, o qualsiasi primizia della terra. Un lodo che, come spesso accade, non soddisfa nessuno se è vero che ad un anno di distanza dall’emanazione della contestata bolla papale e con la chiesa che non è stata ancora ultimata, il priore Veglianotte “premuto da dieci preti nell’oratorio di san Francesco”, proibisce ai suoi canonici di offendere e usare violenza contro i francescani “a meno che non vi fossero sforzati dalla propria difesa”. A testimonianza che lo scontro è ancora in corso anche se poi inevitabilmente si esaurirà e resterà in piedi soltanto San Francesco, splendida basilica, risorta dalle ben più devastanti macerie del bombardamento alleato del 17 gennaio 1944.

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