La Catalogna, l’indipendenza e gli italiani

David Pasquini

Viaggio fra i connazionali che hanno scelto di vivere in Catalogna.
Come ha ricordato Gaia Danese, nuovo Console Generale d’Italia a Barcellona, secondo i dati ufficiali quella italiana è la comunità straniera più numerosa, davanti a cinesi e pakistani. Perlopiù giovani e istruiti i “cataliani” rappresentano uno spaccato di chi, alla ricerca di successi professionali, ha scelto d’attraversare il Mediterraneo, da est verso ovest, finendo talora per infoltire le fila locali dei lavoratori precari e sottopagati.
Esclusi dal voto, gli stranieri che vivono in Catalogna sono rimasti spettatori discreti di un clima che diventa di giorno in giorno più esasperato. Eppure, è proprio la condizione di straniero in loco che forse concede quell’imparzialità utile per guidicare i fatti rimanendo immuni dal vittimismo indipendentista e dagli eccessi unitaristi.
Silvia Lippi, cagliaritana di trent’anni, quasi la metà dei quali trascorsi a Barcellona, è forse la meno straniera degli italiani in Catalogna: dismesso l’accento sardo si esprime con un castigliano da nativa. Dice d’aver vissuto la crisi politica con preoccupazione e disagio. Conosce bene i catalani e non è stata pertanto sorpresa dalla mobilitazione della società civile. “Gli indipendentisti si sono afferrati ad un’utopia- aggiunge- che li ha spesso condotti a reazioni esasperate o intolleranti. Si sono dimostrati molto suscettibili, costringendomi ad evitare di parlare del tema, soprattutto per non ferire la sensibilità dei miei amici”.
“Della situazione politica se n’è parlato continuamente” – dice Federico Bisti, un trentenne ricercatore scientifico aquilano, a Barcellona da un anno e mezzo. “Siamo nell’assurdo che anche non parlarne è parlarne.” Per il suo rigore scientifico le tesi indipendentiste hanno sconfinato nella superficialità: “non vi è pianificazione o descrizione dettagliata su come sarà fondata la nuova repubblica. Non ho sentito discorsi su quanto costerà o quanto tempo ci vorrà, quali potrebbero essere i vantaggi immediati”. Per Bisti la crisi politica è una questione catalano-spagnola ed ha pertanto desistito dall’assistere a manifestazioni e cortei.
Chi invece è sceso in piazza al fiaco degli indipendentisti è Domenico Zannino, trentatreenne calabrese, a Barcellona da quasi quattro anni dove si ocupa di assistenza clienti nel settore turistico. Lui che la città la conosce come le sue tasche, ha voluto vivere l’evento storico in prima persona, senza lasciarsi condizionare dalle notizie televisive. È rimasto sorpreso dalla mobilitazione della società civile, meravigliato soprattutto dall’atteggiamento pacifico dei manifestanti. “Abituato all’Italia, dove la politica si vive con inerzia e poca partecipazione, è singolare vedere cittadini disposti a correre il rischio economico della secessione piuttosto che sottostare ad una monarchia che non li rappresenta”.
Anche Elvis Izzo ha partecipato a manifestazioni e cortei. Lo ha fatto al seguito di amici militanti indipendentisti. Per lui, viterbese con un passato da giramondo e attualmente receptionist in un hotel di Barcellona, il profilo tipico del simpatizzante separatista è quello di un cittadino normale, lavoratore ed onesto, per il quale l’indipendenza è simbolo di libertà, di autodeterminazione dall’ombra del passato franchista. “Putroppo – aggiunge- il movimento secessionista è rimasto ostaggio della sinistra radicale, orientamento predominante soprattutto nel mondo studentesco. Ed è stato l’oltranzismo della sinistra ad aver generato quella frattura ormai insanabile fra Madrid e la Catalogna”.
Mentre dal Belgio il deposto presidente Puigdemont cerca di guadagnare la solidarietà europea, per effetto dell’applicazione dell’articolo 155, il prossimo 21 dicembre i cittadini catalani saranno chiamati a rinnovare il parlamento locale. Per Silvia Lippi il clima resta di totale incertezza: “Puigdemont è un grande statega e farà di tutto per ottenere l’appoggio internazionale. L’incompetenza del governo centrale poi fa sì che i catalani si stiano afferrando ancor di più all’ideale indipendentista, ne fanno una pura questione d’orgoglio nazionalista.”
Per Domenico Zannino, Puigdemont non è un codardo scappato alla giustizia di Madrid. La sua è una tattica molto intelligente: portare il tema dell’indipendentismo nei sordi palazzi di Bruxelles. “Le reazioni di Madrid prima e dopo il referendum sono state fuori luogo, completamente sbagliate, incompetenti e soprattutto per niente proporzionali, da regime autoritario. Questo permetterà alle forze indipendentiste di migliorare il risultato delle elezioni precedenti, personalmente auspico una vittoria delle forze antifasciste e repubblicane.”
“Puigdemont sta giocando tutte le carte a disposizione, ma non credo riuscirà a trovare gli appoggi che cerca”, sostiene Federico Bisti. “Alle elezioni mi aspetto un testa a testa fra le due parti ed un vincitore senza larga maggioranza.”
Nel frattempo il clima d’incerteza politica continua ad avere conseguenze pesanti sull’economia locale: fuga di capitali, boicottaggio di prodotti catalani e prime avvisaglie di riduzione del tasso di crescita.
Nell’ambiente professionale di Silvia Lippi, addetta alle vendite al dettaglio nella moda “si cerca di far trasparire un’apparente normalità, ma si respira comunque preoccupazione per il futuro”. Nel settore di Federico Bisti non ci sono ancora state conseguenze evidenti “ma è chiaro- sostiene- che il clima di instabilità politica ed economica limiterà gli investimenti futuri”.
“Gli hotel continuano ad essere pieni -dice Elvis Izzo- ma se a causa dell’incertezza politica il World Mobil Congress dovesse lasciare Barcellona, come dichiarato da alcune fonti televisive, il colpo potrebbe essere enorme: è un congreso che ogni anno attira centinaia di migliaia di delegati, una manna per il settore turistico”.
Se per il temerario Zannino non sarà lo scontro fra indipendentisti ed unitaristi a decidere del suo futuro sotto il Tibidabo, qualora la situazione dovesse permanere instabile o declinare verso l’indipendenza unilaterale, Silvia Lippi e Federico Bisti dicono invece di dover ipotizzare un futuro lontano dalla Catalogna. “Mi vedrei costretta ad accettarlo”, dice la più catalana degli italiani.

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