Il Quartiere: Centro e San Faustino alla ricerca di una comunità partecipata

di Eleonora Speranza e Andrea Multari *

Nella cinta muraria erano anticamente 13 le porte di accesso alla città di Viterbo. Tra decorazioni barocche e la santa protettrice posta sulla sua sommità, in quest’ultimo racconto dei quartieri viterbesi non si può che partire da porta Romana, in un viaggio tra progetti futuri, sampietrini e tradizione, giungendo infine di fronte a un altro degli ingressi più grandi e belli della città dei Papi, porta Fiorentina.

Nata originariamente con il nome di porta Innocenziana, omaggio al pontefice Innocenzo X, fu subito rinominata “Romana” vista la vicinanza alla Cassia direzione Roma; l’ingresso lancia subito nel cuore della tradizione. La chiesa di San Sisto è una delle più antiche di Viterbo, le prime notizie sono risalenti al XI secolo d.C; essa rappresenta a pieno lo spirito di viterbesità, ed è proprio qui, infatti, che i facchini di Santa Rosa, la sera del 3 settembre ricevono la benedizione in articulo mortis, prima di iniziare il trasporto della Macchina.

Se la chiesa rappresenta la tradizione, gli studenti sono il fulcro vitale della zona. La quotidianità di molti degli iscritti all’Università degli studi della Tuscia si svolge proprio qui, tra la casa dello studente e le molte attività commerciali che divengono per questi ultimi, punto di ritrovo. Non solo universitari, ma anche liceali, vista la presenza del liceo Classico e Linguistico Mariano Buratti, e del vicino liceo delle Scienze Umane e Musicale S. Rosa da Viterbo.

Attraversando Piazza Fontana Grande, con la sua maestosa fontana, datata intorno al 1200, e la ex-chiesa dei SS. Giuseppe e Teresa, meglio nota come aula di corte d’assise dell’ex-tribunale, si raggiunge piazza del Plebiscito, sede del Comune di Viterbo e della Prefettura.
Conosciuta come “Piazza del Comune”, essa offre anche alcuni notevoli punti di interesse storico, culturale e artistico: come lo scorcio dei giardini del Comune, raggiungibili dal porticato, che incornicia parte della piazza; e la chiesa di sant’Angelo in Spatha (XI sec. Circa), che presenta sulla sua facciata, la riproduzione del caratteristico sarcofago di epoca romana, ornato da una scena in altorilievo di caccia al cinghiale e attribuito alla mitica leggenda della “Bella Galiana”, l’originale è attualmente conservato all’interno del Museo Civico.

Se piazza del Plebiscito è la sede istituzionale della città viterbese, il Corso rappresentava, almeno fino agli inizi degli anni 2000, il fulcro delle attività commerciali del centro e il luogo d’incontro per tutti i giovani viterbesi. Da un Corso Italia in cui prima si faceva fatica a camminare, la situazione di oggi, critica, lo vede perennemente desolato, vuoto, e non bastano le insegne luminose a riportarvi i ragazzi.
Allora bisogna pensare a come chiamarli, come recuperarli. Sono varie le associazioni che sono nate con questo obiettivo, una di queste è “Facciamo Centro”, guidata da Gaetano Labellarte, le cui energie di partenza sembrano essere sopite a causa di una risposta troppo lenta di ciò che serve e deve essere fatto.
Oggi, tutto viaggia a una velocità per la quale urge un motore di rivitalizzazione e di identificazione. In che modo? Valorizzando l’artigianato, i prodotti locali di alta qualità, per risvegliare nella popolazione significati culturali e sociali legati alle proprie tradizioni in un contesto di modernità.

Il Caffè Schenardi, dove hanno sostato principi, artisti, letterati, avventurieri, grandi registi, attori, patrioti, rivoluzionari. Ricordiamo Vincenzo Cardarelli, Gabriele d’Annunzio, Eleonora Duse, James Joice, Orson Welles a Viterbo al tempo del suo Otello, vive pure il suo affanno.

Urbano Salvatori, l’attuale gestore, un imprenditore romano della ristorazione ha voluto riprovarci ma la fatica è immensa. Lo svuotamento a cui è costretto il centro  risucchia un locale di questa portata. I viterbesi dovrebbero entrare nel locale, patrimonio di tutti. Ma non basta, serve utilizzarlo come motore attivo e vetrina, con presentazioni culturali ad hoc, iniziative culinarie legate alla tipicità magari con appuntamenti a tema in sintonia con produttori e slow food. Il locale per sopravvivere deve essere attivo h24.

Come una coperta troppo corta, alla questione del ripopolamento del centro storico si affianca l’insofferenza delle attività commerciali, le quali, nonostante gli approcci e i tentativi, soffocate da affitti troppo alti, sono costrette a chiudere battenti e fuggire altrove. A fronte di ciò, il Comune deve progettare una politica di risanamento e ripopolazione.

Mauro Belli, presidente di Doc, rappresenta i Consumatori,  ha lavorato insieme agli operatori commerciali  con Vincenzo Peparello presidente di Confesercenti  per il  progetto di Rete finanziato dalla Regione Lazio denominato “ Enjoy Viterbo”  che ha messo insieme circa 100 commercianti con il coinvolgimento della Provincia di Viterbo, doveva  attivare  un piano di soluzioni della crisi e risanamento di area (via e quartiere). Si poneva come un esempio progettuale ed efficace per tante situazioni di crisi profonde di vie e quartieri  analogo a tanti altri comuni di tutta Italia. Di fatto la situazione appare ferma.

“Il nodo dolente del quartiere San Faustino- Centro – dichiara Belli- per quanto riguarda le attività commerciali è dato dagli affitti troppo alti per una movimentazione commerciale che si è arrestata.Urge un  Piano urbanistico- commerciale  da approfondire nella programmazione  che metta in conto l’ornato, i parcheggi, la sicurezza. Questo isolamento non visibile  crea di fatto una comunità, dove ci si riconosce per strada, nei negozi, nei palazzi. Sforzarsi di entrarvi dentro e di elaborarne una lettura non è puro esercizio intellettuale, ma un contributo importante per arrivare a politiche amministrative urbane adeguate e incisive in linea con le parti sociali”.

L’azione delle istituzioni si è incanalata intorno a piazza Verdi, ove domina  il Teatro Unione, il quale con la sua riapertura, dopo anni di oblio, ha restituito finalmente lo spessore culturale a una città, che dell’arte e della cultura ne fa il proprio brand.
Attualmente la sua ricca stagione teatrale, con una programmazione di opera lirica degna di nota, è gestita da Atcl. Poco più in là la biblioteca degli Ardenti , in via Marconi  domina il Palazzo della Banca d’Italia, non più operativa dal 2016,  in via Matteotti la sede Inps  e in via f.lli Rosselli  la sede della camera di Commercio, il palazzo degli affari. L’edificio, risalente al 1933, fu realizzato su progetto dell’architetto Cesare Bazzani, lo stesso che ideò il palazzo delle Poste di via Ascenzi.
Quella Via Ascenzi che ci accompagna a piazza del Sacrario, nella toponomastica “piazza Martiri d’Ungheria”, che da sempre ospita il mercato del sabato, ultimamente sotto i riflettori in merito alla diatriba sul suo spostamento in altro luogo, forse via Garbini o piazza della Rocca.
La piazza inoltre, caratterizzata dalla fontana dedicata al paracadutista d’Italia, (in questi giorni oggetto di attenzione per lo stato di degrado in cui riversa)  e dal monumento ai Caduti della Patria, è sede dell’Ufficio Turistico di Viterbo, quell’Urban Center trasparente faro dei turisti. Proprio questa moderna installazione sancisce la linea di demarcazione con la costola del centro città rappresentata da San Faustino.

Risalendovi da Via Santa Maria in Volturno, è visibile l’antico nido Onmi, oggi nido d’infanzia comunale, accostato all’agglomerato delle ex Case Popolari di Sant’Agostino.
Faro di tale zona è la chiesa della Trinità, gestita dai Padri Agostiniani, vanta un chiostro e una biblioteca di rara bellezza, oltre ad un orto officinale, che ancora produce spezie inconsuete.
Qui ogni anno viene organizzata la “Festa della Madonna Liberatrice”, con tanto di presenza degli organi comunali. Inoltre, all’interno dell’antico chiostro, ogni 22 maggio, vengono consegnate le rose benedette di Santa Rita.
La struttura confina con il St Thomas’s, istituto bilingue  elitario con asilo nido, materna, primaria, frequentata dai figli della Viterbo bene. Un tempo al suo posto vi trovava ubicazione la prima sede dell’Università della Tuscia.

Nelle vicinanze, precisamente in via dei Magliatori, si trova la barbieria di Gianluca Braconcini, figura di viterbese verace, cultore del dialetto e della storia della città la sua bottega è il vero pensatoio che produce idee. Uno che davvero  nel quartiere ci vive e lo ama  e ne dà la sua descrizione passionale.”Abitare a San Faustino significa riappropriarsi del proprio tempo e del proprio spazio. Tempo perché uscire in piazza, a piedi, fa dimenticare la frenesia quotidiana: soffermarsi sulle bancarelle del mercato rionale o nei negozi, scambiarsi opinioni con gli ambulanti ormai storici, dalla Sora Pasqualina a Franco il porchettaro, passando dal Canepinese, il Bolsenese , il Pesciarolo…, ascoltare il vociare della gente, osservare i turisti stranieri incantati da questa realtà fare foto,  tutto questo riporta ad una dimensione umana.

Spazio perché tra vicini di casa, soprattutto nei vicoli, si crea amicizia, solidarietà, aiuto.

Lo spazio addirittura si dilata, il tuo dirimpettaio è così vicino che ti sta quasi in casa ma con discrezione.

Le abitazioni raccontano la storia, la vita e le emozioni di chi ci ha preceduto.

I rintocchi delle campane della chiese della Trinità e di San Faustino scandiscono la giornata così come i rumori della prima mattina per passare al silenzio del pomeriggio e della sera o i profumi dei panifici ,delle pasticcierie e dei ristoranti; peccato non si senta più di prima mattina il profumo del caffè torrefatto del mitico Bonanni!

Abitare a San Faustino è una scelta emotiva che dimostra sensibilità verso una valorizzazione del quartiere anche attraverso una sensibilità civica che dovrebbe manifestarsi con la cura e il recupero di tutti gli edifici nel pieno rispetto dell’epoca a cui appartengono, per poter vivere pienamente a misura d’uomo”.

Roberta Felci  è un altro esempio di chi nel quartiere ha improntato la sua attività artigianale. Proprio in via delle Piagge al n. 28. “Da 9 anni ho aperto un laboratorio di ceramica artistica, mi dedico completamente ai corsi con lo scopo di divulgare la conoscenza della ceramica in una città come Viterbo che ha un passato storico basato su questa materia in  questo piccolo angolo magico  del quartiere San Faustino.
Nella piazza domina la chiesa dedicata si santi Faustino e Giovita, venne costruita nel corso del 1200 , all’interno è strutturata in tre navate, separate da un colonnato. La forma attuale è frutto di un restauro effettuato nel 1759, in base al progetto dell’architetto viterbese Giuseppe Antolini. Da alcuni anni non è più parrocchia e rimane perennemente chiusa, salvo rare eccezioni, come per il Presepe allestito dalla vicina parrocchia del Pilastro, nel periodo natalizio.
La Fontana invece, venne costruita intorno al 1251. Non può non saltare all’occhio il suo decentramento rispetto all’antico nucleo cittadino. La costruzione fu finanziata dagli abitanti della contrada e un’iscrizione tra le teste di leone riporta i nomi dei due maestri che la realizzarono, incisa in caratteri gotici: Iacopo di Andrea e Gemino di Maestro Francesco.

San Faustino è lo specchio della società odierna e delle sue situazioni irrisolte. La forte presenza di immigrati è ritenuta dalla popolazione una vera e propria invasione urbana. Tali gravose circostanze necessitano di una particolare attenzione: si dovrebbe lavorare infatti affinchè questo quartiere, così bello dall’animo antico, punti a diventare un modello diverso, un esempio innovativo pilotato da un progetto d’integrazione sperimentale.
Arci, nella zona in via delle Piagge, ha un proprio spazio, il Biancovolta, dove sta lavorando con grande impegno, attraverso una vasta rete di progetti. Ce ne parla Marco Trulli, il presidente dell’associazione “Sono varie le attività che sono state messe in funzione con lo scopo di legare Arci al quartiere, con un obiettivo a lungo termine: quello di creare un laboratorio di zona, in cui integrazione significhi prevenzione e stemperamento delle problematiche di tutti i suoi abitanti”
“Faustino” è solo l’ultimo dei progetti attivati, ed ha il fine di creare una biblioteca con aperture settimanali, gestita da volontari, che non solo incentivi la lettura, ma produca aggregazione, attraverso letture itineranti, che coinvolgeranno anche gli anziani.
Questa è la modalità attraverso la quale Arci punta a realizzare un centro positivo, di unione, e non di ghettizzazione del quartiere. Uno dei  successi dell’associazione in tale ambito è Luminaria, che con una serie di installazioni luminose, è riuscito ad oltrepassare i limiti del pregiudizio e dell’etichettamento apposto su San Faustino.

Quello che si coglie camminando per il quartiere è che forse le associazioni non possono essere lasciate sole a risolvere un problema che riguarda l’intera città di Viterbo, più forte dovrebbe essere la presenza dell’amministrazione comunale, non solo attraverso una politica di mero controllo, ma con una strategia propositiva che costruisca una realtà migliore per i commercianti e gli abitanti del posto.
Dove iniziare? Dai locali dismessi. Pensiamo all’ex cinema Metropolitan, o al progetto di piazza Sallupara, che potrebbero divenire un giorno un centro di sviluppo culturale.
Proprio quello delle Scuderie del Demanio militare è frutto di una sinergia tra Fondazione Carivit, Amministrazione comunale, inoltre la Banca Carivit (Gruppo Intesa San Paolo)  quest’ultima ha erogato un significativo contributo per il loro restauro. Ad opera compiuta, tale risorsa culturale valorizzerà l’area circostante. Nel ‘700 una realazione a Papa Albani parla del sito di Sallupara come “una delle più belle scuderie d’Italia”. Duemila i metri cubi di macerie rimosse.

“Poter destinare questa struttura ai giovani, alle loro associazioni – è un elemento qualificante per una città come Viterbo”.dichiarò il  professore Enzo Bentivoglio, viterbese e ordinario di Storia dell’Architettura all’Università di Reggio Calabria che attraverso l’architetto Simonetta Valtieri ne ha in carico il progetto.Il cantiere al momento è fermo non c’è la copertura finanziaria per il secondo stralcio dei lavori.

A chiudere il percorso del racconto è Piazza della Rocca.
Accedendovi da porta Fiorentina, sono due le preziosità che brillano all’interno di essa: il Museo nazionale etrusco Rocca Albornoz, polo museale del Lazio, la cui struttura, al di là del suo inestimabile contenuto, è intrisa di storicità, e la basilica di San Francesco alla Rocca, una chiesa di Viterbo, elevata al rango di basilica minore da Pio XII nel 1949, che racchiude i sepolcri di due Papi, Clemente IV e Adriano V.
Fu costruita a partire dal 1237, su un terreno che papa Gregorio IX aveva donato ai Francescani, e il preesistente palazzo detto degli Alemanni, risalente al 1208, che fu inglobato nel complesso conventuale adiacente alla chiesa..

Come evidenziato in questa narrazione, sono varie le difficoltà che il centro storico sta affrontando, e che dovrà affrontare nel suo prossimo  futuro, come il malessere degli anziani che non riguarda unicamente le persone sole non autosufficienti, ma si estende a gran parte della popolazione anziana che spesso è sopraffatta da un senso di inutilità e di inadeguatezza.La cura della città il disagio di camminare a piedi , marciapiedi e strade divelte.

Ma il patrimonio culturale che  centro e San Faustino  rappresenta, per la sua storicità e bellezza, non può rimanere inespresso e soffocato dal grigiore dell’indifferenza, bensì dovrebbe essere il traino per lo sviluppo della città di Viterbo. Il  dato dei residenti ne evidenzia lo spopolamento:oggi 5.500 abitanti  circa rispetto ai 18.000 del dopoguerra. Un vero grido di aiuto.

*Studenti Università della Tuscia Disucom- Dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo

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