Angelo Allegrini direttore dell’Archivio di Stato di Viterbo: da quarant’anni custode del vissuto del nostro territorio

di Donatella Agostini

Angelo Allegrini Direttore dell'Archivio di Stato di Viterbo

Nascosta tra moderni edifici commerciali, in zona via Garbini, si trova a Viterbo un’istituzione che, da sessant’anni, raccoglie, valorizza e conserva le testimonianze cartacee lasciate dal lento progredire della vita umana in tutti i suoi aspetti: amministrativo, giudiziario, anagrafico, notarile. Un’immensa raccolta di documenti che tutti insieme rappresentano il vissuto del nostro territorio, fin dall’epoca preunitaria. È l’Archivio di Stato, immenso scrigno di tesori per studiosi, professionisti, storici, linguisti, architetti, o per privati desiderosi di ricostruire la storia della propria famiglia. Ne abbiamo incontrato il direttore, il dott. Angelo Allegrini – persona estremamente competente e appassionata del proprio lavoro e della storia, in forza al Ministero da quarant’anni – al quale domandiamo di partire dal principio: cos’è l’Archivio di Stato? «E’ un ufficio periferico del Mibact, che si occupa della conservazione e della valorizzazione del patrimonio archivistico nazionale», esordisce. «In Italia gli AS sono presenti in ciascun capoluogo di provincia, più alcune sezioni decentrate. Gli Archivi nascono nel 1959 in attuazione di una legge di vent’anni prima. Quello di Viterbo è nato inizialmente come sezione decentrata di Roma: nel 1963 è diventato Archivio autonomo. In questi sessant’anni è passato da una fase iniziale in cui conteneva relativamente poco materiale, al patrimonio odierno: oggi conserviamo oltre 120.000 pezzi, per quasi 9 chilometri lineari di scaffalature». La prova che l’Archivio sia andato crescendo nel tempo è il fatto che la sede sia più volte mutata nel corso del tempo, alla ricerca di sistemazioni più capienti: prima dell’ubicazione odierna di via Cardarelli si trovava alle Pietrare, e ancora prima in via Zara. «Che cosa conserva? Intanto, una premessa doverosa. In italiano la parola archivio sta ad indicare sia l’istituzione – come siamo noi – preposta alla conservazione dei documenti, sia il luogo in cui ha sede. Ma archivio è anche il singolo fondo documentale: si potrebbe dire che l’Archivio conserva gli archivi», continua Allegrini. «Conserviamo gli archivi degli uffici periferici dello Stato, che vengono versati trent’anni dopo che i documenti cessano di essere utili per l’attività corrente dell’ufficio stesso. Poi, secondo l’appartenenza geografica di ogni Archivio provinciale, conserviamo la documentazione degli uffici periferici dei rispettivi stati preunitari: nel caso della Tuscia, la documentazione degli uffici periferici dello Stato Pontificio che erano la Delegazione apostolica (corrispondente alla nostra Prefettura) e la Direzione provinciale di polizia, che corrispondeva alla Questura. Non finisce qui: il grosso del nostro materiale consiste in atti notarili che vengono versati cento anni dopo la morte del notaio rogante. E siccome il notariato è un istituto antichissimo – in Italia la figura del notaio risale ai tempi del Medioevo – nel caso nostro conserviamo atti notarili che risalgono al Duecento, di Viterbo, di Orte, di Tuscania… sempre nell’ambito degli uffici periferici che versano, abbiamo la copia dei registri di stato civile dell’anagrafe dei comuni della provincia dal 1870 in poi, e conserviamo i registri dei ruoli matricolari e liste di leva, essendo stata questa città distretto militare. E poi ancora, archivi più recenti di privati che hanno ritenuto opportuno donare i propri fondi di famiglia. Conserviamo gli atti del processo a Salvatore Giuliano per l’eccidio di Portella della Ginestra, che venne celebrato a Viterbo, o quelli del grande processo di camorra a Cuocolo degli inizi del Novecento, che ha destato interesse in tutto il mondo». Gli utenti tipici dell’Archivio di Stato sono ricercatori puri, che studiano i documenti veri scrigni di informazioni storiche, sociali, linguistiche, filologiche. Oppure studenti alla ricerca di materiale per le loro tesi. «C’è una grande utenza estera: i discendenti degli immigrati cercano di ricostruire il proprio albero genealogico, per il riconoscimento della cittadinanza italiana ed europea. I privati possono fare ricerche anche per motivi amministrativi, perché attraverso documentazione è possibile ricostruire pratiche, situazioni… Infine c’è l’utenza di tipo legale per portare in giudizio documentazioni nelle cause, e l’utenza professionale da parte di ingegneri e geometri che vengono per fare visure. Disponiamo infatti anche delle mappe e dei registri dell’antico catasto, redatto dai tecnici dello Stato Pontificio, che arrivano fino all’istituzione del nuovo catasto urbano degli anni Trenta Quaranta». Nell’Archivio di Viterbo si trova inoltre una preziosa raccolta di pergamene, molte delle quali provenienti dal monastero di Santa Rosa. «La maggior parte proviene dalle rilegature degli atti notarili. Nel Cinquecento – Seicento, i notai rilegavano il loro atti con pergamene vecchie allora considerate inutili. Nel corso del tempo abbiamo provveduto al distacco di queste pergamene che fungevano da copertina, e attraverso un’operazione di restauro, le abbiamo recuperate e distese. C’è un po’ di tutto: atti notarili, ma anche messali liturgici, segnature musicali… alcune di esse sono scritte in ebraico». Nella luminosa sala conferenze dell’Archivio sono esposte delle preziose rarità: «Questo è il documento più antico che conserviamo» afferma Allegrini, mostrandoci un documento risalente al 1192, un atto di vendita di una casa in zona piazza delle Erbe, a firma del notaio Tebaldo. «Questo invece è uno scritto di Federico II, contenente la concessione di un privilegio agli abitanti di Tuscania fedeli all’imperatore». C’è anche una “bulla” di Bonifacio VIII, indirizzata alle monache di Santa Rosa, e una lettera di Giuseppe Garibaldi. L’impressione è quella di trovarci in un prezioso ed eterogeneo museo. I documenti più antichi e fragili sono già tutti digitalizzati, e disponibili alla gratuita consultazione sul sito dell’Archivio. Chiunque può accedervi, in nome della libertà di accesso, ad esclusione di fascicoli processuali che non hanno maturato la prescritta anzianità, o documenti contenenti dati sensibili o appunto giudiziari. Di certo, l’Archivio di Stato di Viterbo è tutto fuorché un ammasso inerte di carte inutili: insieme a tutti gli altri presenti sul territorio italiano, rappresentano la fonte più importante per la conoscenza del passato, fondamento per la formazione della coscienza nazionale. «Parlo di una esperienza, di una sensazione che ho rafforzato in questi mesi di lockdown», conclude Angelo Allegrini. «Lavorando in questo campo da tanti anni può capitare – come confesso è capitato a me – che ci si possa abituare alla bellezza, all’importanza di certi tipi di documenti. Nel periodo di chiusura tutti gli Archivi sono stati invitati – dalle varie campagne #iorestoacasa e #laculturanonsiferma – a rendere pubbliche e disponibili sui propri siti web e pagine social le immagini del nostro patrimonio. Abbiamo così potuto ammirare e mettere a confronto on line i documenti dei vari archivi disseminati sul territorio italiano. Mettere insieme le nostre carte con quelle normanne della Sicilia, con quelle asburgiche di Gorizia, con quelle francesi del Piemonte, ci ha dato l’idea di un patrimonio inestimabile, straordinario, ricchissimo, meraviglioso che consente di delineare l’anima complessiva del nostro Paese e che consente realmente di fare la storia. Senza archivi si fa soltanto narrazione, congettura. Diceva Antonio Gramsci che la storia insegna ma non ha scolari… Eppure è fondamentale, per non ripetere gli errori del passato. Noi siamo qui per conservare la memoria di questo Paese e di questo territorio».
www.archiviodistatoviterbo.beniculturali.it
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