Tuscania ricorda il tenore Variano Lucchetti

*Vincenzo Ceniti

Il 17 marzo il teatro comunale di Tuscania verrà intitolato al concittadino Veriano Luchetti, il celebre tenore che ha ottenuto clamorosi successi in Italia e all’estero. Nel 1980 lo intervistai nella sua villa di Colle Romano presso Riano per un articolo sulla rivista Tuscia che riporto volentieri come un personale omaggio.

“Nativo di Tuscania (1939), iniziò a cantare da piccolo quando si chiudeva nel bagno per ascoltare meglio le vibrazioni della sua voce e soprattutto per sfuggire alla noiosa curiosità dei compagni che lo chiamavano “paperino” in quanto bassotto e cicciottello.
Suo padre Giustino, proprietario di un mulino a grano e di un frantoio, alla testa di una famiglia numerosa (moglie e cinque figli), fu il primo ad accorgersi del talento del piccolo Veriano tanto che lo affidò al maestro Amedeo Cerasa, anch’esso di Tuscania, amico di famiglia e direttore del Conservatorio di Pesaro. Fu lui a consigliare di avviarlo allo studio della musica, ma dopo alcuni tentennamenti venne invece iscritto all’Istituto Agrario di Bagnoregio. La passione per il canto – mi dice Veriano – ebbe però la meglio. Intorno a 17 anni cominciò a frequentare la maestra Maria Vignoli, e successivamente, a Roma, la maestra Di Veroli. Inizialmente la sua voce aveva un’impostazione baritonale, che poi si assestò su timbri tenorili. Il primo esame, dopo la parentesi militare a Caserta e a Roma, fu nel 1963 al concorso “Voci nuove” di Spoleto alle prese con il conte Floris nella Fedora di Umberto Giordano. La critica fu favorevole. La carriera di Veriano Luchetti era iniziata. “Avrei voluto che mio padre fosse stato in platea per ringraziarlo alla mia maniera e ripagarlo dei sacrifici che aveva fatto per farmi studiare”. Ci furono poi negli anni Settanta i primi veri successi di pubblico. Inizialmente nella parte di Vasco de Gama nell’Africana di Meyerbeer diretta da Riccardo Muti e, soprattutto, nella Messa di Requiem di Verdi ad Orvieto nel 1977. E poi nel ruolo di protagonista delle principali opere: Vespri Siciliani, Madama Butterfly, Tosca, Attila, Lucia di Lammermoor, Don Carlos, Simon Boccanegra, Nabucco.
Mario del Monaco dirà ’Finalmente ho riascoltato una voce di tenore’. Veriano ha la fortuna di avere al suo fianco una moglie ideale, una simpatica ed elegante trentina di Rovereto, il soprano Mietta Sighele (memorabile la sua Butterfly a Tokyo nel 1965), da cui ha avuto due figli Francesco e Laura. La sua presenza ha compensato la timidezza e la riservatezza del marito con una guida concreta e risoluta. “Dopo il duetto finale di una delle tante ‘Forza del destino’ – ammette la moglie – dovetti dargli una spinta per rimandarlo in palcoscenico e riscuotere la sua parte di applausi”. Luchetti si è molto esibito all’estero: Londra, Vienna, Cincinnati, Monaco di Baviera. New York. Ali inizi degli anni Ottanta era al Covent Garden per la Bohème con Mirella Freni che si ammalò a ridosso del debutto. Il problema venne risolto proprio con Mietta Sighele che il marito mandò a chiamare dall’Italia. Nessuno la conosceva, né tanto meno si sapeva che fosse sua moglie. Fu una sorpresa per tutti e un successo incredibile tra i compassati spettatori inglesi. I suoi rapporti con Tuscania? “Amo la mia gente e i miei progenitori etruschi. Non dimentichiamo che furono proprio loro a proporre in Italia le prime forme di teatro. Come posso, ritorno a Tuscania per ricordare coi vecchi amici i bei tempi andati”. Molte le curiosità. Nel 1968 accusò una seria infiammazione alla trachea che gli impedì di parlare per una quindicina di giorni. Ne venne fuori grazie all’aiuto del prof. Bellussi allora primario otorino degli Ospedali Riuniti di Roma. Il “coupe de foudre” con la moglie avvenne naturalmente tra le quinte del palcoscenico. Erano alle prese con un’opera moderna in un teatro dell’ex Jugoslavia e improvvisamente si scoprirono l’uno per l’altra. Ed eccoci alla voce. Il suo acuto non è mai metallico, ma piuttosto caldo, proveniente direttamente dalle corde vocali. La sua maggiore prerogativa, almeno nei primi tempi, era il graduale passaggio di tonalità, privo di stacchi bruschi e repentini. Il suo “do sopra le righe” è sempre deciso e chiaro e la dizione perfetta (cosa rara per i cantanti lirici) che denota padronanza di voce. Durante la sua lunga carriera non ha mai ceduto a banali trionfalismi; il suo carattere riservato lo fa un artista sui generis per un uomo di teatro, più incline alla lealtà che al facile esibizionismo. Merito di una radice maremmana impastata di “rusticità gentile”, come direbbe Bonaventura Tecchi, e di un’innata modestia. La coppia Sighele-Luchetti si dedica anche a scoprire e coltivare giovani talenti per la lirica”.

Luchetti morirà a Roma nel 2012. Aveva 73 anni.

*Console Touring Club

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI