Torneranno i prati di Ermanno Olmi

Torneranno i prati di Olmi

Ieri come oggi, il cinema di Ermanno Olmi è un cinema vibrante di dettagli. Perfino tra le trincee innevate della prima guerra mondiale, “Torneranno i prati” riesce a conferire una sorta di realismo magico a ogni oggetto che sfiora. Il soldato è prima di tutto un uomo, oltre qualsiasi grado o stelletta che un reggimento possa conferirgli. La realtà storica, la fatica quotidiana, la paura che emanano i suoi occhi assume i tratti di una malinconia inquieta, dimentica del tempo che scorre, preda inesorabile di un delirio a cui non si può mai essere preparati.

Olmi è uno di quei rari, preziosissimi registi per cui far cinema significa cantare, non una storia, non la Storia, ma quei paesaggi interiori in cui vige ancora un sottile strato di speranza, misto al dolore del sangue e alla poesia lunare del cielo. I colori desaturati di un mondo privo di bellezza vengono traditi dai rami dorati di un albero spoglio. Arriva quindi improvvisa la prima esplosione, osservata con la calma inquieta e insospettabile di chi, per un attimo, si sente già morto. Ma la vita, proprio lei, è ancora una volta l’unica vera, inebriante salvezza: così la memoria. 

“Torneranno i prati” porta alla luce i racconti bellici che un padre faceva al proprio figlio. Riconciliarsi con questo padre significa cantare le gesta (non belliche, ma emotive) dell’uomo e riscattarne il cuore. I personaggi guardano in macchina svelando il cinema nell’atto stesso di farsi e disfarsi, senza alcuna preoccupazione di camuffamento. Quando la lucidità rende trasparenti le immagini, rinunciando a inutili orpelli o particolari vezzi di messa in scena, ci sottrae al film stesso per scavarci sottopelle, per scoprirci, parlare con noi, per sentirci. Come nella miglior tradizione ascetica, il cinema di Olmi è miracolo di sottrazione, essenzialità pura che trasforma perfino le immagini di repertorio in tracce emotive di un dolore mai dissolto. 

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