RACCONTI BREVI/L’ostaggio

ostaggio

Il ragazzo in lutto è nel suo letto e guarda la stanza illuminata dalla luce del mattino. Pensava che non avrebbe chiuso occhio invece è crollato. Sfinito. Dopotutto ha dormito bene. Gli sembra di sentire delle urla, ma non vuole andare a vedere cosa succede. Gli sembra di sentire urlare il suo nome. Forse è l’eco dei suoi sogni. Fosse per lui rimarrebbe sdraiato tutto il giorno. Si alzerebbe per mangiare quando la fame diventa insostenibile e le urgenze intime incontenibili. Lì, fermo a fissare il soffitto o a far riposare gli occhi. A sentire le lenzuola arricciarsi fino a farle uscire da sotto al materasso. Chiude gli occhi e il suono elettrico del citofono ha lo stesso peso dell’ascia di un boia, l’unica differenza è la testa attaccata al collo. Vorrebbe morire. Mette le ciabatte e risponde. La storia che ascolta gli fa pensare di non essersi svegliato. Dormo ancora? Si chiede. La storia è questa: le persone che la notte scorsa hanno dormito nella piazza hanno preso in ostaggio il ragazzo dell’incubo; chiedono dei posti per dormire perché è ingiusto che dormano per strada come i barboni. Il ragazzo dell’incubo ha fatto il suo nome, hanno atteso che giungesse il mattino e hanno citofonato a lui. Semplice. Il ragazzo in lutto trascina i piedi sul pavimento e ed esce in balcone, come accordato.

Ci sono adulti, giovani, signore e signori. Davanti a loro c’è l’uomo a forma di pera che tiene il ragazzo dell’incubo: ha le mani legate dietro la schiena con una cinta.

“È tuo amico?” esordisce l’uomo a forma di pera.

“Potrebbe” risponde il ragazzo in lutto.

“Lui ha detto di sì”.

Il ragazzo in lutto guarda il ragazzo dell’incubo, e viceversa.

“Ha detto bene”.

“Allora sappi che lo terremo con noi fino a quando non avremo dei posti per dormire. Siamo tutti chiusi qui dentro. Solo che alcuni sono meno fortunati di altri, noi siamo quelli. Voi avete la vostra casa, un tetto sotto cui dormire. Noi no. Inoltre non abbiamo niente da mangiare. Ne abbiamo discusso a lungo e abbiamo deciso di prendere una posizione”.

Spinge in avanti il ragazzo dell’incubo, che non dice nulla. Ora che lo guarda bene si accorge che ha un occhio nero. Perché proprio a lui? Perché di tutte le persone della piazza hanno citofonato a lui. Perché ha fatto il suo nome? Forse perché è solo? Gli ha detto che i suoi genitori non erano in casa, neanche i suoi lo sono. Sono nella stessa situazione, a parte il nonno. Osserva le persone sotto il suo balcone, scorrendo con gli occhi dall’una all’altra: non sembrano cattive, anche se l’uomo a forma di pera incute timore, soprattutto con quel taglio in testa. Dov’è l’uomo ubriaco? Rovista con lo sguardo nella piazza per trovarlo. Eccolo. È sulla panchina davanti la tabaccheria, seduto, e guarda quello che sta succedendo, con la schiena appoggiata e le braccia allargate sullo schienale. Torna con lo sguardo sull’uomo a forma di pera. Deve ammettere che da lassù, qualche metro sopra di loro, mentre tutti i loro occhi sono rivolti verso di lui, sente una strana energia nel petto. Si sente vagamente superiore, un brivido di potere.

“Allora? Forse non ti è bene chiara la situazione, >> incalza l’uomo a forma di pera. <<Non ci tieni al tuo amico?”

“Se vi dicessi che non me ne importa niente e me ne tornassi dentro casa, nel mio letto, cosa fareste?”.

“Be’… Mi dispiace per questo ragazzo, ma se dovessi comportarti in questo modo saremmo costretti a fare qualcosa di brutto. Un’esecuzione. Proprio al centro della piazza, sopra quella specie di coso nero. Davanti gli occhi di tutti voi egoisti”.

“Quale sarebbe l’esecuzione?”

“Perché rovinare la sorpresa?”

Il ragazzo dell’incubo guarda per terra, non trema, non sembra nemmeno essere lì. È completamente concentrato a sperare che vada tutto bene, e che si tratti di una messa in scena.

Il ragazzo in lutto scruta gli altri palazzi, altre persone stanno assistendo dai loro domicili. Si nascondono parzialmente dietro i muri, come se volessero tenersene fuori. Come se avessero paura di ritrovarsi ad avere qualche responsabilità in quella situazione; anche se molti di loro nemmeno possono sentire niente, da quella distanza. Ma c’è poco da immaginare quando un branco di persone tiene un uomo legato davanti un altro. Di certo non lo stanno invitando a cena.
Il ragazzo in lutto sorride: “Mi vesto e scendo. Aspettate qualche minuto. Poi facciamo scendere tutti gli altri”.

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