Nuova vita per il Museo Civico di Viterbo nel Progetto Egidio17

Il dibattito sollevato attorno alla Crocifissione, conservata presso il museo del Colle del duomo, ha avuto il merito di ridestare l’attenzione su un periodo della storia cittadina per lungo tempo ingiustamente trascurato. È certo, infatti, che il triennio in cui Vittoria Colonna ha soggiornato presso l’ex convento di santa Caterina, momento culmine dell’Ecclesia Viterbiensis, è stato per la città altrettanto importante del periodo del primo conclave. È certo che i venticinque anni nel quale Paolo III Farnese, il papa viterbese, ha retto con mano ferrea le sorti della Chiesa sono stati altrettanto importanti dei ventiquattro anni in cui si sono succeduti nove pontefici e fasi di vacanza del potere papale.
La storia rinascimentale della città è poi molto più ampia di quella che abbiamo appena accennato, enorme era stata l’importanza della città nel primo trentennio del Cinquecento, quando la figura dominante era il cardinale Egidio Antonini. Enorme sarebbe stato il ruolo di Viterbo durante il quarto di secolo in cui Alessandro Farnese fu Rettore del Patrimonio di San Pietro in Tuscia.
L’aver dimenticato questo periodo di splendore ha condotto a conseguenze rilevanti. Manoscritti, dipinti, affreschi, case, chiese, conventi, palazzi e interi pezzi di città sono scivolati in una dimensione opaca. Il volto rinascimentale e barocco della città è stato demolito, dimenticato, rinominato o, nella migliore delle ipotesi, sottostimato. Molto abbiamo perduto e molto rischiamo di perdere. Esempio forse più eclatante di questo patrimonio a rischio è la facciata di palazzo Nini in via Annio, opera a graffito rarissima e da consolidare immediatamente.
Nel percorso che ci conduce a recuperare questa storia e questo patrimonio diffuso non possiamo permetterci il lusso di trascurare occasioni importanti, anche solo dal punto di vista della comunicazione, come l’attuale V centenario della Pietà di Sebastiano di Piombo. La tavola, che il mondo ci invidia, è l’ultima opera in cui la cristianità si presenti unita. Di lì a un anno, a Wittemberg, Lutero avrebbe dato via allo scisma che porta il suo nome. La Pietà, realizzata sulla base di disegni di Michelangelo e sostanziata dal pensiero di Egidio Antonini, costituisce la proposta più avanzata di quel mondo che sperava in un movimento di rinnovamento e insieme di ritorno alle origini della Chiesa. L’aver disatteso quelle istanze di riforma fu concausa della rivoluzione protestante, una lacerazione che Viterbo non accettò mai e difatti fu ancora Viterbo che, negli anni immediatamente precedenti al concilio tridentino, incarnò la speranza di una riconciliazione del mondo cristiano. La Crocifissione del Colle del Duomo è sintesi icastica di quell’attesa ed è un’opportunità per raccontare quella storia.
Ma chi deve raccontare questa storia, se non i musei? I musei sono i luoghi istituzionalmente destinati alla socializzazione della cultura e devono dialogare tra loro, devono essere posti nelle condizioni di tessere una storia che prenda nel mezzo la città, occorre tracciare una linea ideale che leghi la Pietà alla Crocifissione, le due proposte d’avanguardia che Viterbo espresse alla vigilia di Wittemberg e di Trento. Ma nel farlo non dobbiamo impoverire il museo civico, dobbiamo invece far entrare la città nel museo, riaprire il chiostro arretrando la linea della bigliettazione all’ingresso delle sale.
Apriamo il chiostro e riempiamolo di iniziative proposte da festival, associazioni e cittadini, costruiamo il salotto culturale della città, anche da qui potremmo ripartire per recuperare memoria e reimmaginare il futuro.

Tra i primi firmatari:
Algoritmo Festival, Archeoares, Caffeina, Promotuscia, Quartieri dell’arte, Associazione Rinascimentiamo: un futuro per il passato, I Sapori del Rito, Touring Club, Tuscia Film Fest, Paola Pogliani (docente Museologia – Unitus) e Sofia Varoli Piazza (Comitato scientifico E17).

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI