Luigi Cuppone, storia di un ecodesigner che rigenera la bellezza

Paola Maruzzi

Dna salentino e ortano d’adozione, Luigi Cuppone si è insediato nella Tuscia alla ricerca di un terreno fertile per sviluppare quella che è al tempo stesso un’idea d’impresa e una scuola di vita: l’ecodesign. “Sono scappato da Roma perché nella metropoli abbracciare la filosofia sostenibile significa essere dissidente”, ci racconta. Nasce così Laboratorio Linfa (www.laboratoriolinfa.com), balzato all’attenzione della Commissione Europea per essersi aggiudicato il premio “Young Designers Contest” nel 2014. Alla base del progetto c’è un polo d’artigianato dove creare (mobili, oggetti d’arredo, giochi, installazioni) fa rima con riciclare il legno, o meglio, “rigenerare la sua bellezza”.

Luigi ha immaginato un nuovo volto della falegnameria e dell’industrial design, (re)inventando un mestiere che, si spera, potrebbe far presa anche su molti giovani. Periodicamente, infatti, Laboratorio Linfa promuove workshop gratuiti e itineranti con lo scopo di insegnare ai ragazzi questa nuova forma d’arte così vicina a quella che Papa Francesco ha definito “cultura dello scarto”. Il prossimo appuntamento sarà a Tuscania, dopo l’estate.

Come è iniziata la tua avventura nella progettazione sostenibile?

Amo da sempre la natura e dall’età di 6 anni smonto e rimonto oggetti per scoprire il progetto che è in loro. Mettendo assieme le due cose, sperimentando nella campagna dove son nato ciò che l’ingegno dell’uomo riusciva a fare per migliorare la vita delle piante, sono arrivato a capire che lavorare con i materiali viventi sarebbe stata la mia missione.

Come nasce un pezzo d’arredo targato Laboratorio Linfa?

Tutto ha inizio dal ritiro del materiale: mobili vecchi, serramenti, imballaggi, scarti di produzione. Ogni oggetto, che di solito non è nato con il criterio sostenibile della semplice disassemblabilità, va smantellato e ogni suo materiale correttamente differenziato. Questa fase è difficile e lunga, se si vuol salvare quanto più legno possibile. Dopo inizia le fase di recupero delle qualità estetiche e funzionali, le vere e proprie lavorazioni di falegnameria e tarsia; il criterio è sempre quello del minimo scarto, che prevale e essenzialmente fissa i parametri estetici del manufatto. L’uso di colle, e quindi di sistemi di fissaggio permanenti, è minimizzato. Tutto, anche l’energia consumata dagli utensili, va nella direzione dell’efficientamento e del minimo impatto. Si conclude con i trattamenti di finitura, operati con cere naturali e mai sostanze tossiche; in questo modo ogni nostra opera potrà essere un giorno smantellata e il legno riusato senza paura di inquinare. Mettere e togliere la cera, anche se può sembrare solo una citazione, è l’operazione che ridona vita al materiale: le venature, i pori e i colori tornano splendere. È l’olio di gomito e non le innovative vernici “protettive” a fare la differenza.

Come ha recepito la Tuscia la tua visione innovativa?

Non ho ancora avuto modo di testare al meglio la reazione ai miei progetti, solo da poco ho iniziato ad avere clienti o curiosi del posto che si sono avvicinati al mondo di Linfa. Quello che è certo è che in molti, dalle imprese ai privati cittadini, si sono messi a disposizione per cedere i loro materiali di risulta, materia prima delle mie realizzazioni. E non è poco, visto che le normative e le leggi in materia economica e di gestione dei rifiuti non facilitano ancora questo tipo di filiere virtuose. Mi piace l’idea di vitalizzare e sensibilizzare comunità più piccole come quelle della Tuscia, che dal canto loro posseggono un gran patrimonio naturale e culturale da valorizzare e comunicare.

Laboratorio Linfa propone periodicamente esperienze formative per i giovani. Di cosa si tratta?

Dal 2008 realizziamo workshop gratuiti e percorsi di educazione ambientale nelle scuole, in cui i ragazzi sono invitati a progettare e realizzare mobili, giochi, installazioni, utilizzando materiali di recupero. Sono iniziative itineranti, si svolgono ogni anno in un luogo diverso, in aree verdi pubbliche dove si allestisce la nostra esclusiva falegnameria en plain air, la cucina da campo, le tende e le docce, per vivere una settimana full-immersion tra design ed ecologia. È un’esperienza indescrivibile, che invito tutti a fare.

Il prossimo workshop dove si terrà?

Stiamo lavorando per proporne una nel comune di Tuscania e speriamo di poterci riuscire presto. Stiamo individuando i possibili partner, aziende ed enti inclini al tema dell’ecologia.

Chi c’è dietro le quinte di Laboratorio Linfa?

 

Ci sono tanti anni di associazionismo e di impresa svolti quasi come una militanza, in protezione delle risorse della Terra. Quello di muoversi in una tematica nuova, dove non c’è uno storico da seguire e imitare, è una minaccia prima di tutto economica. I miei compagni di viaggio sono tutti coloro che dal 2004 hanno resistito, chi più chi meno, alle proposte di studi di design e alle esigenze di stabilità economica. Lavorare con Laboratorio Linfa, o far parte della nostra associazione no-profit, significa avere la natura come committente, il che lusinga molto ma dà poche soddisfazioni a livello economico. Abbiamo sempre realizzato prodotti originali e impeccabili, che trovano poco mercato quando la tendenza è quella di avere tutto e subito, non curanti della poca durabilità e dell’impatto ambientale abilmente nascosto. Quindi tutti noi di Linfa ci siamo abituati ad avere anche un secondo, o terzo, lavoro, pur di perseguire la causa; definirei i miei compagni di viaggio come degli infaticabili amanti del fare e del condividere, pronti a tutto (o quasi) pur di non usare un pezzo di legno nuovo.

 

Insegni disegno industriale all’Università. In ambito accademico c’è una particolare attenzione al Km zero applicato all’arredo?

 

Direi proprio di no, a parte qualche rara eccezione. Questo perché la maggior parte delle aziende in Italia non investe ancora su prodotti green, al massimo sono interessate a comunicazioni green-profile, anche non avendone i requisiti. Le università dovrebbero fare ricerca per scrivere il cambiamento e lanciare nuove tendenze ma da sole non riusciranno mai a influenzare il modello di mercato globalizzato: la palla è in mano a noi consumatori.

 

Come trasmettere alle nuove generazioni l’importanza del riciclo creativo?

 

Per insegnare qualcosa in modo profondo, cioè i saperi che durano una vita e che ci aiutano a vivere, bisogna sperimentare. Linfa ha adottato la parola tedesca “gestaltungskompetenzen”, che . significa “competenze che prendono forma”; imparare a fare facendo insomma, all’occorrenza sbagliando. In questo modo i concetti, i metodi, finiscono di essere nozioni, come di solito accade nell’apprendimento formale, per diventare azioni, gesti metabolizzati e interiorizzati grazie a processi informali o non formali. Nel caso dell’educazione allo sviluppo sostenibile, dove si cerca un cambio di paradigma che porti a trasformare le abitudini, questa prassi è più che necessaria. Non siamo progettati per amare il cambiamento, e difficilmente reagiamo. Ma a volte un semplice pezzo di legno può essere un ottimo catalizzatore.

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