Interstellar. Lo spazio non è mai stato così noioso

Interstellar

Non poteva che essere la fantascienza a svelare tutta la pochezza e la carenza d’immaginazione del cinema di Christopher Nolan. Risulta incredibile che un film come “Interstellar”, ambientato nei meandri più oscuri e lontani dello spazio profondo, perfino in un’altra galassia, non riesca nemmeno per un momento a restituire un senso di mistero o meraviglia (ricorda molto il modo con cui il fallimentare “Inception” non presentava nemmeno una suggestione onirica nonostante fosse un film sui sogni). 

Il cinema di riferimento cui Nolan dice di rifarsi è quello della grande fantascienza per famiglie anni ’80, quella che porta il nome tutelare di Steven Spielberg sulle spalle. Eppure ciò che viene a mancare in “Insterstellar” è proprio la magia, il senso dell’avventura e la fascinazione per l’ignoto e l’esplorazione. Qui tutto suona maledettamente famigliare e derivativo, e non c’è mai nulla in grado di sorprenderci veramente. 

Il “dove nessun uomo è mai giunto prima” sembra aver perso il suo stesso motivo di esistere. Sono cambiate le coordinate: Nolan si rivela incapace di costruire un’atmosfera, una sequenza filmica senza ricorrere alla soundtrack onnicomprensiva ed estenuante di Hans Zimmer. D’altronde già la sceneggiatura si rivela molto meno complessa di quanto la massicia campagna di marketing lasciava sperare. Dialoghi troppo spesso imbarazzanti che prendono per mano lo spettatore per (mal) spiegargli, una dopo l’altra, teoria scientifiche e massimi sistemi. La sensazione è che Nolan non creda nel suo spettatore e senta il bisogno di imboccarlo, con un’arroganza che ha pochi precedenti nella storia dei “blockbuster intelligenti” (definizione che mette i brividi solo a pronunciarla). E lo fa con l’ambizione altisonante di chi mira a riformulare “2001” e ha l’audacia (la presunzione?) di replicare un celebre stacco di montaggio di “Solaris”, mentre parla dell’Amore come unico motore in grado di salvarci. 

Di fronte a una svolta (pre)finale nemmeno così imprevedibile, “Insterstellar” infila uno dopo l’altro quegli spiegoni da peggior cinema hollywoodiano allo scopo di dare verosimiglianza scientifica al tutto. Ancora una volta la parola spiega l’immagine: siamo di fronte a un cinema squallidamente illuminista, completamente convinto che con la ragione si possa piegare l’intero universo (quando il cinema di fantascienza più grande ci insegna che con la ragione non si può nemmeno tentare di spiegare l’uomo). 

Non esistono eccedenze, tutto si ritrova all’interno dello schema collaudato di chi, in fin dei conti, non crede in un Altrove al di fuori dell’uomo e della scienza. Non è sempre stato il peccato di Nolan quello di architettare i suoi film come se fossero ingranaggi perfetti? Peccato che un film non è mai una teoria scientifica, ma questo Nolan l’ha dimenticato. Eppure, a ben vedere, perfino questo schema collaudato presenta delle falle: finali posticci, incoerenze scientifiche, naufragi tra buchi di sceneggiatura e tre ore di durata (per dire, in fondo, che cosa?) 

Il vero peccato, d’altronde, è avere wormhole, viaggio spazio-temporali, catastrofi naturali, e mancare completamente di cinema. E quando speri in un po’ di silenzio ti rendi conto che lo spazio immaginato da Nolan è davvero una cosa noiosa. 

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