Cinema, Exodus: un Luna Park biblico

Exodus
Dopo “Noah” non poteva che esserci “Exodus”: luna park dell’immaginario biblico dove Dio ha le fattezze di un attore-bambino con seri problemi di espressività. Costruito come un comic-movie infarcito di effetti speciali, ghost-stories e sfide impossibili, il film di Ridley Scott è l’ennesima banalizzazione tutta hollywoodiana tratta dall’Antico Testamento. Mentre prosegue l’americanizzazione dei testi sacri, dimentichiamo il contesto produttivo e trattiamo “Exodus” per quello che è: un ambiziosissimo, sfegatato kolossal. Scott riesce ad orchestrare alcune sequenze vivisamente potentissime, ma naufraga miseramente appena si tratta di delineare la psicologia di un personaggio o, più semplicemente, di farlo parlare. Tra riprese aeree e dolly estenuanti, il rischio è quello di perdere empatia e identificazione con i personaggi, e perfino il senso stesso dello spettacolo. Ne emerge un caos roboante, pieno di elementi visivi e sonori che finiscono per saturare e depotenziare la visione. Più che un casino organizzato, “Exodus” pare un’accozzaglia di elementi che, a causa anche di una durata eccessiva, finisce per annoiare. E’ ovvio dire che chi si aspettasse un mimino di complessità (o, meglio ancora, sacralità) è decisamente fuori luogo. Perlomeno “Exodus” dichiara apertamente, inquadratura dopo inquadratura, di voler essere solo un blockbusterone spettacolare e non, come “Noah”, un film che ha le pretese di prendersi perfino sul serio.
piccolo appunto: interpretazione strepitosamente weirdo per John Turturro!
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