Cesare Pinzi: storico e studioso viterbese ingiustamente trascurato

Donatella Agostini

Nell’anno del centenario della sua morte, Viterbo ricorda la figura del grande storico Cesare Pinzi, con la pubblicazione di “Cesare Pinzi, poesie giovanili – 1860-1869”, curata da Antonio Quattranni per Annulli Editore. Frutto del ritrovamento di una raccolta inedita, nel lascito di Pinzi alla Biblioteca Consorziale di Viterbo, il testo di Quattranni ne ripercorre la biografia, per soffermarsi poi sul lato, inedito e sorprendente, di un personaggio ricordato soprattutto per la sua attività di storiografo. «Viterbo non ha mai dimenticato il suo figlio illustre, ma lo ha sempre ingiustamente trascurato», ha spiegato il curatore della raccolta, alla presentazione a palazzo dei Priori il 6 ottobre. Borghese illuminato, personalità poliedrica, Cesare Pinzi unì alla severa attività professionale di contabile uno smisurato amore per la sua città. Così fu revisore della Cassa di Risparmio e primo organizzatore della Biblioteca degli Ardenti; promosse iniziative pubbliche a favore dell’infanzia abbandonata e progetti sull’igiene pubblica. Fu sovrintendente al recupero del Palazzo Papale e degli scavi di Ferento. Tra l’altro, non molti sono a conoscenza del fatto che fosse anche un apprezzato tenore lirico. Il suo nome però è legato alla pubblicazione nel 1899 dei due magnifici volumi della “Storia della città di Viterbo”, frutto dei suoi rigorosi ed appassionati studi storici. Malgrado i suoi meriti indiscussi, Pinzi si trovò spesso di fronte ad un atteggiamento di ostracismo e di chiusura da parte delle autorità e della stessa opinione pubblica, che gli rimproveravano la sua mancanza di cultura classica e il suo essere progressista. «Sinceramente credente, nella Viterbo di fine Ottocento, oppressa dall’ingerenza temporale del Papa, egli condannava l’uso strumentale e politico della religione», ha sottolineato Quattranni. «Cesare Pinzi fu tutto questo ma anche di più: questa raccolta di sue poesie giovanili restituisce la completezza a tutto tondo di un intellettuale molto viterbese, molto italiano», ha aggiunto il narratore Antonello Ricci, presente alla conferenza. «Poesie belle, acerbe, scritte in un periodo di formazione sia per il loro giovane autore che per l’Italia stessa. L’ultima è datata 1869: l’anno successivo Pinzi metterà su famiglia in una Viterbo finalmente italiana, in una singolare sovrapposizione tra esperienza personale e quella della sua città». Da quel momento egli si dedicherà esclusivamente agli studi storici, nel solco di quella possente storiografia di Pietro Egidi e di Giuseppe Signorelli. «Attraverso la sua metodologia rigorosa, le sue ricerche in archivio, liquidò per sempre l’alone leggendario che aveva circondato la storia di Viterbo, a favore di un moderno approccio documentaristico», ha continuato Ricci. «Un autore dalla scrittura finissima, allo stesso tempo intensa e divulgativa. Le sue liriche ci consegnano un ritratto di un giovane Cesare Pinzi già impegnato a livello civile e culturale, ma sensibile anche a tematiche romantiche. Poesie che risentono di molteplici influssi, primo fra tutti quello della scuola poetica romana. Nel modello strofico, nelle scelte ritmiche riecheggiano le Odi Civili manzoniane. Sono liriche d’occasione, d’amore, ma anche patriottiche. Notevole anche il suo recupero di forme dialettali, che per Pinzi equivaleva a restituire il senso della dignità di un popolo. Storiografia e poesia in Pinzi non sono necessariamente in contraddizione: entrambe scaturiscono dal profondo amore per la propria terra. Anzi, Cesare Pinzi riuscì ad essere insigne storiografo proprio perché aveva alle spalle quel retaggio giovanile di sensibilità poetica».
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