Celleno antica, il laboratorio casa del pittore Enrico Castellani

celleno

Da un angolo della Tuscia quasi appartato in fondo a una strada secondaria a 1,5 km dal nuovo centro, aggrappata su uno sperone di tufo si erge questa città in rovina che solo inverosimili opere di riedificazione riusciranno a risvegliare dal suo forzato torpore. Eppure qualcuno abita ancora il palazzo del principe e una graziosa chiesa rimane in vita, quando ormai da un secolo tutti sono fuggiti altrove a costruire la loro nuova città.
Il paesaggio circostante è ampio e ridente e ricco di piante di ciliegio , siamo nella città della ciliegia che ha dato  pure corso alla  produzione di un famoso maraschino. La Celleno Antica che descriviamo è quella segnata dal terremoto del 1854 che determinò l’inizio della fuga generale degli abitanti. Un  violento sisma ridusse tutte le case in grave dissesto o ne determinò il crollo totale. Gli abitanti andarono via a poco a poco edificando nel 1936 la nuova città – ad un paio di chilometri più sotto- in un posto più sicuro. Due begli esempi di architettura religiosa: la Chiesa di San Rocco e il suggestivo Convento di San Giovanni Battista dal chiostro affrescato delimitano i due nuclei. Una salita conduce alla piccola porta del borgo in cui si accede all’ampia piazza, ben tenuta, su cui si sporgono costruzioni dalle facciate ancora dignitose le cui finestre  lasciano a vedere  pavimenti sprofondati  con suppellettili che nessuno ha avuto il coraggio di recuperare. Stessa situazione nelle stradine laterali che scendono verso quello che era l’insieme delle antiche mura di difesa, da cui si gode un impareggiabile panorama sulla bella campagna viterbese. Sulla piazza, quasi intatto, il Campanile di San Donato con l’orologio che segna  un’ora improbabile, forse quella dell’ultima scossa fatale che ha determinato l’abbandono di questo luogo. Un luogo magico che riesce a scoprire  chi ha una sensibilità artistica, più difficile vederlo per chi lo ha a portata di mano.
Sulla piazza  le uniche due costruzioni ancora vive di questo luogo: il piccolo Palazzo Nobiliare appartenuto agli Orsini e la piccola Chiesa di  San Carlo. Nel 1973 il Castello venne acquistato da Enrico Castellani, pittore di fama mondiale, che  lo scoprì  a fine anni ‘60  e se ne è innamorò a prima vista. Oggi l’artista  vi risiede ancora nell’ala che rappresenta il  muraglione. E’ facile scorgerlo a  quanti arrivano sin lassù per visitare la parte del castello aperta ai visitatori. A  85 anni conduce una vita ritirata, non si concede all’impegno pubblico, ha sempre preferito una  vita più solitaria. Le sue opere girano il mondo, tra le più richieste nel mercato dell’arte, sono fra le più ricercate e costose fra quelle del novecento italiano, con quotazioni che hanno raggiunto il milione di dollari e sono regolarmente scambiate nelle aste più prestigiose. Numerose le mostre di rilevanza internazionale, la Biennale di Venezia nel 1964, 1966 e 2003, a Documenta di Kassel nel 1968, a The responsive eye al MoMa di New York nel 1965, Identité Italienne Pompidou di Parigi, Biennale di San Paolo del Brasile (‘65). Fra le personali nel 1996 a Palazzo Fabroni di Pistoia, nel 1999 alla Galleria civica di Trento, alla Fondazione Prada di Milano nel 2001 e al Puskin di Mosca nel 2004. Nel 2010 riceve il più alto riconoscimento nel campo delle arti il Praemium Imperiale il Nobel nel campo delle arti, dalla Japan Art. Nel 2012 espone in tandem con Günther Uecker alla Cà Pesaro di Venezia. Nello stesso anno, esce per Skira il catalogo ragionato delle sue opere con testi di Bruno Corà e Marco Meneguzzo. Nel 2014 alla Galleria Mazzoleni di Torino una esposizione di opere che segneranno  il suo percorso artistico dal 1959 ad oggi. Pittore di mitica coerenza teorica ed etica, nella sua visione dell’arte  ha scelto di rimanere ancorato alla tela e al telaio punti fermi  come la vista  sui  paesaggi della Teverina, Celleno e il  suo castello  un senso’infinito dello spazio e del tempo, l’incanto dei ritmi ondulati delle ombre e delle luci. Per la Tuscia Enrico Castellani è il capolavoro dalla quotazione  inestimabile.


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