Al Chiostro Longobardo di Santa Maria Nuova la mostra Bianco/4

Una mostra inserita nel programma di eventi di San Pellegrino in Fiore.
Il bianco come ancestrale e originario alveo della creazione, come affermazione primigenia dell’atto di separazione dal caos e proclama del nomos, il bianco come sommatoria delle cromie.
Il bianco come kandinskijano “niente antecedente alla nascita, antecedente all’inizio”, il bianco come eloquente superficie dove scrivere un nuovo deuteronomio di segni e lessemi intellegibili alla comunità estesa dei parlanti.
Il bianco come il silenzio che precede le torri babeliche, le collidenti o congrue manifestazioni del pensiero percepito e del pensiero comunicato, prima delle veicolazioni condizionate, prima delle convenzionali e convenevoli forme di infingere e dissimulare il vero.
Bianca è l’albedo alla quale la materia imperfetta, combusta e purificata sulla pira della dannazione della memoria, giunge trasfigurata e sacrificale.
Il bianco come condizione successiva alla perdita della sostanza materiale e sensibile. Novissima materia in attesa dei novissima.
BIANCO/4 è un luogo d’incontro, concluso come può esserlo un quadrilatero confinato: il luogo che ospita la mostra è il chiostro longobardo di Santa Maria Nuova. È un pacifico agone di comparazione tra quattro produzioni artistiche sedimentate nel corso del tempo e dell’azione. Quattro personalità, condizionate dal peculiare percorso di ricerca, hanno istituito una contemperazione dialettica senza minare i propri punti fermi, i linguaggi, i materiali, le forme espressive.
BIANCO/4 costituisce la dialogante area di raffronto tra quattro sistemi dell’arte, tra quattro variazioni sul sentimento comune dell’espressione, nel contemporaneo che si caratterizza per frammentazione, per affermazioni e negazioni contrapposte eppure significanti. Un contesto comunicativo e culturale, definito ‘liquido’ dagli studi sociologici, sta producendo forme esasperate di relativismo e latitanza. Se questo dovesse involvere nell’afasia etica e nella decostruzione dei sistemi condivisi di comunicazione culturale, lo stesso sistema produttivo dell’espressione, quello artistico in primo luogo, potrebbe uscirne fortemente deteriorato. Preservare la propria identità tra le dissonanze, recedere dalla volontà proterva per declinare le forme del dialogo potrà forse avviare un percorso cosciente di condivisione.
BIANCO/4 si compone di movenze figurative non canoniche grazie alla produzione di Massimo De Angelis e di Luigi Riccioni, che si allontanano dal naturalismo mimetico per avocare la valenza allusiva dell’oggettività.
Le opere di Maria Grazia Tata si caratterizzano per essere testimonianza di una ricerca eidetica, la ricerca conoscitiva di forme archetipiche. Sommatoria di assemblaggi oggettuali ed evocativi della natura, sembrano essere finalizzate nel contempo a ravvisare la natura stessa delle cose.
In BIANCO/4 si affiancano a tali forme espressive le video installazioni di Maria Pizzi che indaga sulle fragilità umane con lucida e ferrea manipolazione delle immagini, immagini dirette o mediate, osservate e fotografate messe in moto accelerato o asincrono. La sua prospettiva originale, travisa il vissuto in declinazioni visionarie, frequentando un genere, fatto di ‘cartoni inanimati’, sondato nei suoi estesi sviluppi potenziali.

De Angelis fraziona il supporto bidimensionale in campiture algide e abbacinanti. Giustappone supporti, sezioni, oggetti trovati, frammenti, linee grafiche e inchiostrate che delimitano e incidono. Pittura e polimaterico si contendono alla pari spazio ed esiti icastici. Decontestualizzata è l’eco dell’objet trouvé di ascendenza neo-surrealista che viene piegata in direzione di raggiungimenti estetici perseguiti con coerenza di segno. In un linguaggio allusivo l’artista spiega vele di imbarcazioni mitologiche, di legni ammarati da viaggiatori in diuturna ricerca di un approdo, l’eterno approdo dei nostoi e delle imprese eroiche. Eroiche e tragiche vele per i contemporanei viaggiatori in vista di una nuova e libertaria linea dell’orizzonte.
Riccioni incide, scolpisce e dipinge scomparti lignei sui quali campeggiano figure antropomorfe. Disarticolate nella progressione attraverso lo spazio, compiono azioni e gesti che sono epifania delle disarticolazioni etiche, delle fragilità ontologiche dell’uomo, delle sue defezioni connaturate al nascondimento.
Le sagome fluttuano in spazi depauperati da processi di ablazione, di sottrazione, sconnesse e claudicanti, o aeree e liquide. Il chiarore degli aggetti istituisce dialettici raffronti con le superfici incavate e incise da cromie ottuse. Liberazione onirica e raffronto impietoso caratterizzano l’incontro con tali ospiti inattesi che rimandano deformato verso l’osservatore il suo stesso sguardo incidente.
Pizzi opera sezionando l’immagine. Veicola e dinamizza, spezza, frantuma, accelera l’andamento delle sequenze, dei montaggi, delle fotografie riprese nei video e restituisce una personalissima visione dell’uomo e della sua esistenza. Pantomima, assurda e macabra, è la vita. Ludica e irriverente è l’azione dell’artista che rielabora visioni da neo-avanguardie filtrate con disincanto post-tecnologico. La narrazione si compone per gradi, sincroni o come sequenza di intuizioni, di precognizioni, di sedimentazioni filtrate dalla memoria attraverso riprese volutamente asintattiche e lontane dalla perfezione. Luogo mentale è lo schermo, è la superficie usati come medium di proiezione dove si introiettano moti, immagini, sensi estremizzati in una sarabanda macabra, in una ludica nenia.
Tata indaga sulla natura, sull’ontologica sacralità racchiusa negli oggetti di natura, e nella fusis delle cose, che trattengono un ancestrale e atavica verità. Lo fa servendosi di un linguaggio poetico e assorto: rarefazione lirica.
Ierofanica è la ricerca intellettuale condotta dall’artistia, ricerca che si riappacifica con l’Essere e con le sue manifestazioni, ricucendo, tessendo, costruendo icone che raccolgono il senso della riconciliazione, del risarcimento, senza più soluzioni di continuità tra l’individuo e il luogo da colonizzare. L’arte diventa pertanto una disciplina etica che traccia la via della conoscenza alla quale arrivare attraverso la rivelazione di se stessi, il riconoscimento di una o più parti del sé.

Salvatore Enrico Anselmi

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI